Protagonisti – Riccardo Fubini, un giurista da riscoprire
Riccardo Fubini nacque a Torino il 10 marzo 1874 da Davide (figlio di Sabbato Emanuele ed Esmeralda Levi) e Anna Fubini (figlia di Israel e Colomba Malvano). Ebbe come fratello il primogenito Vittorio Emanuele (che si diede all’avvocatura) e come sorella la più giovane Elvira (che si unirà in matrimonio con lo scienziato astigiano Alessandro Artom).
Si laureò in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Torino l’8 luglio 1895. Discusse la tesi con Salvatore Cognetti di Martiis (ordinario di economia politica), Federico Benevolo (libero docente di diritto e procedura penale) e Guido Fusinato (ordinario di diritto internazionale). Della commissione di laurea facevano altresì parte Gian Pietro Chironi (il quale, dopo la conversione agli studi giuridici di Fubini, divenne il suo maestro) e Giuseppe Carle (preside della Facoltà di giurisprudenza).
Ebbe tre figli dalla moglie Bice Colombo: Mario (critico letterario – allievo di Ferdinando Neri e Lionello Venturi – e accademico dei Lincei), Giulia Giorgina e Renzo (economista, allievo di Luigi Einaudi – il quale ultimo, verso la fine dell’Ottocento, lavorò, tra gli altri, assieme allo stesso Riccardo Fubini e a Gioele Solari nel «Laboratorio» diretto da Cognetti –, che fu deportato ad Auschwitz, ove morì il 14 aprile 1944).
Conseguì l’abilitazione alla libera docenza in Diritto civile nel 1910, che fu confermata nel 1929.
Insegnò Diritto civile nella suddetta Facoltà tra gli anni accademici 1929/’30 e 1937/’38 (non si può escludere qualche interruzione, ma sul punto non è possibile esprimerci con certezza, perché sono andati dispersi i registri degli anni accademici 1932/’33, 1933/’34 e 1937/’38). Le lezioni ebbero per oggetto il contratto e le obbligazioni.
Il 27 dicembre 1933 prestò giuramento (ai sensi dell’art. 18 del d.m. 28 agosto 1931, n. 1227) avanti al Rettore Silvio Piovano.
Per effetto del d.m. 18 marzo 1939 fu dichiarato decaduto dalla libera docenza (con decorrenza dal 14 dicembre 1938) a causa della sua appartenenza alla «razza ebraica», in applicazione dell’art. 8 del r.d.l. 15 novembre 1939, n. 1779 e dell’art. 8 del r.d.l. 17 novembre 1939, n. 1728.
Esercitò con continuità la professione di avvocato. Decedette nel 1964.
Riccardo Fubini è un civilista cólto e raffinato. Lo dimostrano la qualità e, per molti versi, l’attualità delle sue opere principali, tra cui segnaliamo – oltre alla monografia ora ristampata – La teoria dei vizi redibitori nel diritto civile e commerciale italiano (Fratelli Bocca editori, Torino, 1906, pagg. 603); Il contratto di locazione di cose, 2a ed., I vol. (Società Editrice Libraria, Milano, 1910, pagg. 399), II vol. (Società Editrice Libraria, Milano, 1917, pagg. 844). La prima edizione di quest’opera risaliva al 1899. Il su citato I vol. fu tradotto in spagnolo da Roberto Sánchez Jiménez (e annotato da José Castán Tobeñas); esso venne inserito nella prestigiosa Biblioteca de la Revista de derecho privado (Madrid, 1930).
In realtà, la sua prima opera – legata agli studi giovanili in economia sviluppati all’epoca della (già evocata) collaborazione con Cognetti, ruotanti attorno al Leitmotiv dei rapporti fra legislazione giuslavoristica e questione contrattuale – ebbe il seguente titolo: Contributo agli studi sulla partecipazione industriale dell’operaio ai benefizi dell’impresa (Sacerdote, Torino, 1899, pagg. 255): essa fu inclusa nella nota collana «Monografie di soci e allievi del laboratorio di economia politica» (vol. VI) dell’Ateneo torinese.
È appena il caso di osservare che nello stesso ambiente accademico e culturale frequentato dal Nostro, Luigi Einaudi maturò la monografia «A favore dei contratti differenziali» (vol. II, 1896), mentre Gioele Solari pubblicò uno studio su «La legge sugli infortuni sul lavoro» (vol. VII, 1899-1900): in proposito si veda Becchio, Salvatore Cognetti de Martiis e il Laboratorio di economia politica (1893-1901), Torino, 2004.
I suoi numerosi lavori minori furono pubblicati in: Rivista di diritto civile; Rivista di diritto commerciale; Foro italiano; Diritto e giurisprudenza; Il monitore dei tribunali; Bollettino degli atti e notizie della Società italiana degli autori; Revue trimestrielle de droit civil.
Merita per giunta segnalare che nel 1918 scrisse un saggio-necrologio in occasione della scomparsa di Chironi (Società Editrice Libraria, pagg. 6).
Negli Scritti giuridici dedicati e offerti a G. Chironi nel XXXII anno del suo insegnamento (vol. I, Bocca, Torino, 1915), comparve un saggio intitolato «Sul comportamento del creditore nel caso di inadempienza del debitore».
Nel complesso si può riconoscere che la cifra della sua produzione scientifica poggi grossomodo su tre pilastri: a) il rigore sistematico, in assonanza con lo stile del maestro Chironi; b) l’attenzione dedicata alla letteratura – con particolare riguardo alla Scuola storica e alla sua evoluzione nei primi lustri del Novecento – e alla giurisprudenza forense anche extrastatuale; c) l’originalità del pensiero, che cerca tenacemente di accompagnare il lettore nella ricerca della ratio legis in funzione di solvere argumentum anziché di limitarsi ad adducere inconveniens.
Su questo sfondo la nervatura centrale della ricerca di Fubini è identificabile nell’individuazione dei princìpi che informano di sé gli istituti trattati: solo partendo da detto presupposto – universalmente valido – ha senso l’indagine casistica, la quale non può e non deve diventare – secondo Fubini – l’epicentro del discorso giuridico.
Il bilanciamento fra la dommatica e l’impronta fattuale del caso sottoposto allo scrutinio magistratuale, rappresenta una costante negli scritti di Fubini, la cui naturale ritrosia verso l’arroganza non gl’impedisce di sostenere – con tono fermo e autorevole – le proprie idee, anche là dove esse entrino in collisione con insegnamenti accreditati.
Si parlava di avversione per qualsiasi forma di superbia. Che Fubini fosse uno studioso rigoroso è fuori discussione; ma, nello stesso tempo, egli era un uomo dal temperamento schivo e questo elemento distintivo, verosimilmente, rappresentò un freno alla carriera accademica, che si arenò alla libera docenza. Lo testimonia il terzo verbale (del 30 dicembre 1909) firmato dai commissari Chironi, Dusi e Pacchioni (nonché dal preside Bertolini), che fu redatto in occasione del conferimento di tale titolo abilitativo. In esso i giudizi positivi sulla prova pratica concernente «La trascrizione», sono accompagnati da una sorta di notazione caratteriale, la quale così suona: l’attitudine didattica «potrà meglio svilupparsi quando il Fubini abbia vinto la sua naturale timidità».
È difficile interpretare il vero significato di quell’ammonimento, che invero ben si confà al cripto-paternalista «stile torinese»; resta il rilievo – da non trascurare – che il Nostro, oltre a non assurgere all’ordinariato, iniziò a svolgere l’attività didattica nella sua Facoltà solo a cinquantacinque anni. Di lì lo spazio per le congetture, assodato che la sua produzione scientifica avrebbe giustificato la conquista della cattedra.
Veniamo a «La dottrina dell’errore in diritto civile italiano». Fubini muove dall’assunto secondo cui l’errore-vizio è uno «stato della mente» che «per difetto della conoscenza del vero stato delle cose, impedisce una reale manifestazione di volontà» (nel senso che la volontà esternata c’è ma non è genuina, non potendo accogliersi la massima «errantis nulla voluntas»). Poco importa che tale inesatta rappresentazione della realtà sia imputabile alla falsa conoscenza o alla sua assenza (pag. 5).
Fubini avverte – a ragion veduta – che l’errore può essere anche studiato in chiave filosofica, ossia come un ostacolo alla conoscenza del «vero» (pagg. 5, 52 e 55). E – si noti incidentalmente – nella direzione dell’antinomia fra conoscenza-non conoscenza furono appunto proiettate le indagini di Giuseppe Piazza, L’errore come atto logico, Laterza, Bari, 1924, a parere del quale l’errore è uno specchio rotto della verità infranta (pag. 16).
Tuttavia, il giurista è interessato a indagare l’errore non come contrapposizione al vero, bensì sotto il profilo di una situazione patologica impediente «alla volontà di esplicarsi liberamente, onde produrre quelle conseguenze giuridiche realmente volute dal dichiarante» (pag. 8). Di lì l’irrilevanza per gli errori di minore intensità, giacché inadatti a condizionare la determinazione volitiva del dichiarante (pag. 11). È, al contrario, rilevante l’errore sui motivi, e cioè sulla sussistenza della situazione presupposta dagli stipulanti, in quanto finisce con l’alterare il processo psicologico innervante la volontà.
Fubini mette poi efficacemente in luce i limiti della teoria volontaristica, che pone al centro del ragionamento giuridico il principio secondo cui sono valide solo le conseguenze effettivamente volute dal dichiarante. L’ordine sociale ha infatti bisogno di assicurare un certo grado di affidabilità alla forza impegnativa della dichiarazione: «i caratteri oggettivi del contratto dispensano da ogni ricerca soggettiva. Eppure, secondo il dogma puro del volere, non sarebbe possibile parlare di conseguenze non volute, mentre risulta evidente in certi casi la necessità di astrarre dall’intenzione dell’agente. La quale non può mai considerarsi onnipotente» (pag. 22). In altre parole, se si bada esclusivamente all’interesse del dichiarante, è senz’altro preferibile la teoria della volontà; sennonché, le ragioni pratiche imposte dal traffico mercantile e dalle esigenze di sicurezza della circolazione giuridica consigliano di preferire la teoria della dichiarazione «interpretata però con maggiore larghezza di veduta» (pag. 28).
Quanto all’errore di diritto esso è irrilevante «ogni qual volta l’agente vuole qualche cosa di contrario alle leggi, ma non quando l’agente che invoca l’errore, anziché essersi posto contro la legge, ha agito nei termini di questa e non fa che invocare ciò cui la legge stessa aspira» (pag. 37), fatte salve le ipotesi in cui è la legge stessa che ne esclude la rilevanza, come in tema di transazione e confessione (pagg. 37 e seg.). Segue una motivata critica alla distinzione tra errore proprio e improprio (pagg. 40 e segg.). Ampio spazio è dedicato ai classici temi concernenti la scusabilità dell’errore e le varie tipologie di situazioni vizianti la volizione. Nell’ultima parte del libro – si osservi conclusivamente – spicca l’indagine sull’azione di annullamento e sulla ratifica.
Roberto Calvo, Università della Valle D’Aosta
Il testo è tratto dalla prefazione di “La dottrina dell’errore nell’ordinamento giuridico italiano” ristampato da Edizioni Scientifiche Italiane).