Battere la testa contro la storia
Dopo due settimane la mostra sulle leggi antiebraiche resiste alla quotidianità della scuola.
Ogni tanto c’è un cartello da riattaccare al muro, o una fotografia che cade, a ricordarci che la memoria non è scontata ma richiede fatica e attenzioni; ogni tanto bisogna raddrizzare la foto della II A del 1937-38 con gli allievi sorridenti e ignari del fatto che da lì a pochi mesi alcuni di loro saranno cacciati (e sorridono bonari in prima fila anche i due presidi che si erano avvicendati in quell’anno, il fascista convinto che era stato capofabbricato e quello che di lì a poco in collegio docenti avrà almeno il coraggio di dire “Quest’anno perderemo due delle nostre migliori insegnanti”).
Quelle che reggono benissimo, invece, sono le varie leggi e regole contro gli ebrei che pendono dal soffitto e danno volutamente fastidio a tutti coloro che cercano di attraversare l’atrio, attirano l’attenzione dei genitori in attesa per il ricevimento, attraversano il campo visivo dei ragazzi in coda per le merendine. Chi entra in sala insegnanti si imbatte per forza nei documenti di esonero delle due insegnanti. Anche io nelle mie frettolose corse verso il bar negli intervalli continuo a dare testate contro la testata della Difesa della razza.
Devo riconoscere che finora non ho ancora sentito nessuno lamentarsi (spero che non sia solo perché stanno attenti a non farlo con me) e, viceversa, ho visto interesse e curiosità anche da parte di chi non mi sarei aspettata. Ieri mattina ho scoperto che una collega organizza visite guidate dai ragazzi che hanno allestito la mostra per i loro compagni di altre classi. C’è chi si sorprende per l’espediente dei falsi certificati di battesimo che hanno consentito la riammissione di due allieve, chi per le lettere al preside in cui si invocano invano meriti di guerra, chi resta sconcertato di fronte alla rapida efficienza con cui funzionò allora, in quell’autunno del 1938, la solitamente lentissima burocrazia scolastica.
Alla fine questo si è rivelato uno dei modi più efficaci per ricordare la vergogna del 1938: farci carico di ciò che ci riguarda da vicino, e sentirne la responsabilità. Gli allievi e gli insegnanti di ogni scuola hanno ricordato i propri coetanei e colleghi cacciati, i professori universitari hanno ricordato i professori universitari, i magistrati hanno ricordato i magistrati, gli avvocati hanno ricordato gli avvocati, e così via. Tante assunzioni di responsabilità per una storia tutta italiana che finalmente dopo 80 anni è stata sentita come tutta italiana. Anche questa consapevolezza richiederà impegno per essere mantenuta. Nella speranza che le testate metaforiche contro la storia ci aiutino a tenere lontane quelle reali.
Anna Segre