“Michnik, maestro di libertà”
È andato ad Adam Michnik, intellettuale e attivista polacco, il premio internazionale annualmente conferito dal Centro culturale Primo Levi a Genova. Ieri sera la cerimonia di consegna a Palazzo Ducale, di fronte a una vasta platea e con gli interventi del presidente Piero Dello Strologo, del giornalista Wlodek Goldkorn, dell’assessore comunale Arianna Viscogliosi.
Con Adam Michnik, il Centro “intende premiare colui che a partire dagli Anni Sessanta e per più di venti anni si è battuto nella sua Polonia
contro il regime che governava il Paese dalla fine della Seconda Guerra Mondiale lottando in nome della libertà di pensiero e della libertà d’espressione con l’intento di favorire per il popolo polacco un processo di rinnovamento democratico”.
Ha osservato Dello Strologo nel corso della cerimonia: “Siamo arrivati al termine del lungo viaggio che il Centro culturale Primo Levi ha compiuto, nell’anno che sta per finire, attraverso e intorno al 68, l’anno in cui una nuova generazione si ribellò al sistema che governava il mondo senza avere qualcosa di pianificato o di organizzato, ma solo con la voglia di ribellarsi, con le idee su come farlo, con il senso di estraneità all’esistente e con una profonda avversione verso ogni forma di autoritarismo”. In una recente intervista con Goldkorn per l’Espresso, Michnik aveva detto: “La libertà è la capacità di riflettere autonomamente su se stessi, sul mondo e sul nostro ruolo nel mondo. Sto dicendo una cosa elementare: posso mantenere la mia libertà anche in prigione. I libri, i saggi, i miei interventi sui giornali, scritti in galera e pubblicati clandestinamente in Polonia, erano testi di un uomo libero. Se invece, da detenuto, mi fossi arreso alla narrazione, alla retorica, al linguaggio dei miei carcerieri, avrei perso la mia libertà”.
(Foto di Emanuele Dello Strologo)
“Un maestro di libertà”
Siamo arrivati al termine del lungo viaggio che il Centro culturale Primo Levi ha compiuto, nell’anno che sta per finire, attraverso e intorno al 68, l’anno in cui una nuova generazione si ribellò al sistema che governava il mondo senza avere qualcosa di pianificato o di organizzato, ma solo con la voglia di ribellarsi, con le idee su come farlo, con il senso di estraneità all’esistente e con una profonda avversione verso ogni forma di autoritarismo.
Tutto o quasi tutto, era partito dalla protesta nelle Università americane negli anni 60 nata per problemi in apparenza banali ma trasformatasi ben presto nella più forte opposizione alla guerra del Vietnam, nel più deciso sostegno al movimento dei diritti civili dei neri, nel rifiuto totale a ogni forma di prevaricazione e sentendo così fortemente la sua unicità al punto di trovare il coraggio di rifiutare ogni forma di composizione che gli venisse offerta.
Questo movimento giovanile, anche senza relazionarsi direttamente con altri Paesi, toccò il Giappone, il Messico, il Senegal, la Cina, l’America Latina e tante altre nazioni del Mondo per raggiungere la sua massima espansione nell’Europa Occidentale dove la contestazione prese la forma di lotta contro la società dei consumi trovando il suo apice nel maggio francese anche grazie alla nascita della televisione che ne ingigantiva la protesta.
Fu ben diversa nei Paesi dell’Europa dell’Est la contestazione di una generazione nata e vissuta sotto i regimi comunisti e che ebbe inizio con la Cecoslovacchia di Dubcek dove la prima rivolta studentesca che chiedeva maggiore libertà in una società rigida e chiusa fu ben presto soffocata e in modo violento dai carri armati sovietici.
Poi toccò alla Polonia che negli anni sessanta era considerata la più felice caserma del campo sovietico. Se non proprio felice, era quella nazione dove i suoi cittadini erano riusciti a strappare alcuni diritti tra cui quello molto importante di potere viaggiare e visitare i Paesi dell’Europa occidentale e dove una generazione nata e vissuta sotto il regime comunista e proveniente da famiglie che costituivano l’élite politica di quel paese assumeva atteggiamenti non conformisti nei confronti della ideologia marxista.
Non c’era vera e propria democrazia in Polonia perché non c’era vera e propria libertà di parola e i giovani polacchi che avvertivano questa non libertà cercavano di superarla attraverso Kultura, un quotidiano redatto nella loro lingua da un gruppo di polacchi che vivevano a Parigi e che facevano giungere in Polonia le notizie di eventi che non venivano riportati in Patria.
Jan Nowak, direttore di Radio Europa Libera ricorda: “Un giorno del 1964 un ragazzo di media corporatura, biondo dal tipico aspetto polacco, sulla via del ritorno in Polonia da Parigi si fermò da noi a Vienna. Appena diciottenne aveva l’aspetto di un ragazzo ma una maturità intellettuale stupefacente”.
Questo ragazzo era Adam Michnik, colui che oggi onoriamo con il Premio Internazionale Primo Levi 2018, uno dei più importanti e riconosciuti giovani leader europei di quella straordinaria stagione di rinnovamento politico e civile che è stato il 68. Nato a Varsavia nel 1946, in una famiglia ebraica ma di forte tradizione comunista, Michnik fonda all’inizio degli anni 60 un club studentesco per sostenere alcune tematiche politiche per cui, ancora prima della maturità, viene attaccato dal Leader del Partito Comunista, Wadislaw Gomulka
Arrivato all’Università nel 1965 è attivo nel gruppo dei cosiddetti revisionisti, diventa il leader dell’opposizione studentesca ed è uno di quella cinquantina di studenti, tutti comunisti, che si raccoglievano attorno a Kuron e Modzelevski con i quali giunge alla conclusione che il Regime al potere in Polonia non era quello preconizzato da Marx.
In quell’anno i tre amici decidono di scrivere una lettera aperta in cui si sosteneva che il regime al potere negava giustizia e libertà. Una copia inviata a Kultura a Parigi fu distribuita in oltre cinquemila copie e fu letta dagli studenti che protestavano per le strade di Londra, Parigi e Berlino.
Nel frattempo il movimento di contestazione diventava via via una forza sempre più rilevante fra gli studenti della Università di Varsavia anche se era praticamente sconosciuto in Polonia al di fuori dell’Ateneo e così che si arrivò a quel 25 novembre 1967 al giorno in cui giunse finalmente l’occasione di farsi conoscere.
Era il cinquantesimo anniversario della Rivoluzione di ottobre quando venne rappresentato il dramma Dzyadi (gli avi) del poeta ottocentesco Adam Mickiewicz in cui emergeva tutto il nazionalismo polacco. Questo normalmente non era un atto polemico ma in quei momenti fu inteso come momento di resistenza al regime e lo spettacolo ebbe un tale successo popolare che venne replicato per mesi davanti a un pubblico entusiasta. Allora il Governo impose al Teatro popolare di chiudere le rappresentazioni. La sera dell’ultimo giorno, trecento studenti della Università di Varsavia e della Scuola di Teatro nazionale dimostrarono di fronte al Teatro e poi sfilarono per poche centinaia di metri fino alla statua di Adam Mickiewicz dove deposero dei fiori ma dove furono anche aggrediti con colpi di bastone dalla Guardia civile intervenuta a disperderli.
L’8 marzo 1968, allora, alcune centinaia di studenti della Università di Varsavia marciarono fino all’ufficio del Rettore protestando per il comportamento della Polizia che aveva violato ogni tradizione accademica. Arrivarono dei camion con circa 500 uomini della milizia operaia che tirarono fuori bastoni e assalirono i dimostranti. Adam Michnik, Jacek Kuron e Karol Modzelewski furono arrestati per avere partecipato a questa manifestazione e fu così che a 19 anni Adam Michnik, espulso definitivamente dall’Università, fu processato e condannato a tre anni di Prigione da cui uscirà nel 1969 per amnistia.
La manifestazione, indetta a loro favore per chiederne la scarcerazione, darà il via alla protesta giovanile che vide l’11 marzo un corteo di 20000 studenti invadere il centro di Varsavia. Gli studenti furono di nuovo attaccati da agenti in borghese ma si batterono per le strade di Varsavia per quasi otto ore. Quello stesso giorno vi furono manifestazioni studentesche a Danzica, Cracovia, Potsdam e Lodz, tutte attaccate dalla polizia a colpi di bastone, con idranti e gas lacrimogeni.
Quella era una generazione innocente che aveva fatto irruzione sulla scena come se fossero stati degli ospiti inattesi e a lungo inascoltati Una generazione così decisa a innovare che difficilmente avrebbe potuto trovare un punto d’incontro con la generazione dei padri anche perché aveva improvvisamente riconosciuto che i diritti individuali potevano rivelarsi più importanti dei diritti collettivi conferiti dalle sovranità nazionali.
Di fronte alle tante manifestazione di protesta studentesca che per due settimane sconvolsero il Paese, si fece ancora più furibonda la campagna antisionista che era stata avviata l’anno precedente quando gli Stati arabi erano stati sconfitti dagli israeliani nella Guerra dei sei giorni. La Polonia che era un paese comunista formalmente indipendente ma era di fatto legata alla Unione sovietica ruppe i rapporti diplomatici con Israele. Allora Wladislaw Gomulka, il 18 giugno 1967, parlando al congresso dei sindacati, accennò alla attività di una quinta colonna per indicare un traditore occulto e l’espressione quinta colonna e il termine sionista si trovarono da allora accostati. Per gli antisemiti polacchi non c’era bisogno di prove per sostenere che gli ebrei erano estranei al Paese e che erano agenti di governi stranieri.
Fu così che l’anno dopo, il 12 marzo del 1968 il Governo polacco, riprese la campagna antisionista, rispose con numerose purghe di militari, prese di mira i leader del movimento studentesco, dimise alti funzionari governativi, licenziò i professori universitari e dipendenti pubblici così che sempre più ebrei si trovarono a perdere i loro posti di lavoro. A metà degli anni sessanta rimanevano in Polonia solo trentamila ebrei sopravvissuti ai tre milioni e mezzo di ebrei polacchi sterminati nella Shoah e che per la maggior parte si identificavano più con il Partito comunista che con l’ebraismo. Due terzi di loro lasciarono allora la Polonia per non tornarvi mai più.
Il 24 marzo i vescovi della Chiesa Cattolica polacca diffusero un documento in cui si affermava che il movimento studentesco stava lottando per la libertà e la verità che erano un diritto naturale per ogni essere umano. Era l’inizio di una nuova alleanza in Polonia.
Il 28 marzo tremila studenti di Varsavia manifestarono chiedendo la fine della censura, sindacati liberi e un movimento giovanile indipendente dal Partito comunista. Sarebbe stata l’ultima loro dimostrazione. Con quasi mille studenti in prigione il movimento fu ridotto al silenzio.
Ma non era tutto finito per Adam Michnik che restò in Polonia, prese la laurea alla Università di Postznam nel 1973 e attorno a lui si formò un nuovo gruppo di intellettuali che collaborava con gli esuli polacchi a Parigi riuniti a Kultura. Nel 1976 dopo un lungo viaggio in Occidente scrisse il suo libro “La chiesa e la sinistra”, in cui propose agli ambienti cattolici di lavorare insieme contro la dittatura comunista essendosi ormai reso conto che e il comunismo non si poteva riformare parzialmente.
Nello stesso anno le agitazioni dei lavoratori e all’indomani di una ondata di scioperi e ai successivi arresti, condussero un gruppo di intellettuali capeggiati da Jacek Kuron, Adam Michnik e Karol Modzelewski a fondare il Kor che, seppure all’inizio si prefigurava il compito di aiutare lavoratori, subito dopo divenne un gruppo di resistenza che pose gli intellettuali alla guida della classe lavoratrice.
Alla fine degli anni 80, Michnik entra in Solidarnosc, il sindacato indipendente guidato da Lech Walesa e nel 1982, accusato di preparare una rivoluzione violenta contro il regime, è messo in carcere dove gli viene offerto di ottenere la libertà in cambio della sua astensione da ogni partecipazione alla vita politica. Lui oppose il rifiuto più categorico e restò in carcere fino al 1984. Liberato per amnistia venne di nuovo arrestato nel febbraio del 1985 e condannato a tre anni di prigione. Uscito nel 1986 per amnistia si trasferì a Danzica dove diventò uno dei più stretti collaboratori di Lech Walesa che lo nominò caporedattore della Gazeta Wyborcza di cui oggi è il Direttore.
Vi fu in Polonia una campagna brutale, ricorda in una intervista, ma il 1968 è stato il primo movimento di massa contro una dittatura, un movimento nato all’interno di una nuova generazione, quella nata nella Polonia comunista, che si sarebbe poi rivelato vincente venti anni dopo. La protesta giovanile era nel nome del socialismo democratico e per questo molto diversa dalle proteste della Sorbona o di Berlino dove gli slogan erano contro il capitalismo e la società dei consumi.
Per noi è polacchi è stata invece una lunga lotta per la libertà della cultura, della scienza e della memoria storica per ottenere, alla fine di un lungo e sofferto percorso, una vera e propria democrazia parlamentare nella libertà.
Con Adam Michnik, oggi 2 dicembre 2018, il Centro culturale Primo Levi intende premiare colui che a partire dagli Anni Sessanta e per più di venti anni si è battuto, nella sua Polonia contro il regime che governava il suo Paese in nome della libertà perché, scrive, per me la libertà non ha prezzo. La libertà che sceglie la menzogna rinnega se stessa. La democrazia non è altro che la libertà nel quadro della legge e della Costituzione.
Piero Dello Strologo
(3 dicembre 2018)