Otto giorni otto lumi
Una duplice connessione
I maestri talmudici spesso unificano le figure di Giacobbe e Giuseppe e ritengono tutto il popolo ebraico figlio di Giacobbe e Giuseppe tanto che, nel trattato di Berakhot (55b), è scritto che tutto Israele è considerato progenie di Giuseppe. Grazie a questo legame con Giacobbe, Giuseppe è valutato come i patriarchi. Il legame tra Giacobbe e Giuseppe, a parte i versi che la espongono esplicitamente, si ritrova soprattutto in due allusioni bibliche che si leggono nei nei brani dei sabati che precedono/coincidono con Chanukkah. Nella parashà di Vayshlach è scritto: “Giacobbe rimase da solo e un uomo si avvinghiò in combattimento con lui fino all’alba” (Genesi). Alla vigilia del suo incontro con il fratello Esau, Giacobbe, fece guadare il fiume a tutta la famiglia, fece passare tutti i suoi averi. Lui non li seguì subito perché si ricordo di alcuni piccoli oggetti di poco valore (pakhim ketannim) e rimase “da solo”. Per questo fu attaccato da questa figura misteriosa che poi si rivelò un angelo. Il termine pakhim allude alla piccola ampolla di olio del miracolo di Chanukkah (pakh katan). Non solo, ma la parola levaddò/da solo simboleggia il bet habbad, il frantoio dove si produce l’olio. Nella parashà di Miqez, che coincide sempre con il sabato di Chanukkà, è scritto che a Giuseppe, nella sua casa di vicerè di Egitto: …posero il pane per “lui da solo” (Genesi). Oltre al ripetersi della stessa parola levaddò/da solo, c’è anche il pronome lo/lui che il ebraico ha valore numerico 36 (lamed/30 + waw/6 =36), quanti sono i lumi da accendere durante gli otto giorni della festa. Chanukkah non è collegata solo a Giacobbe ma anche a Giuseppe.
Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
(4 dicembre 2018)