Società – Lampi sulla storia, per liberarsi dai pregiudizi

lampiPaolo Mieli / LAMPI SULLA STORIA. INTRECCI TRA PASSATO E PRESENTE / Rizzoli

A Essen, in Germania, quattro anni fa si decise di cancellare una mostra già programmata del pittore Balthus. Il motivo? L’artista, stimatissimo da Rilke, Matisse e Picasso, era accusato di «pedofilia» per le sue immagini infantili e perturbanti. Ad Amsterdam, invece, nel 2015 furono riscritte le targhette di 220 mila quadri perché riportavano termini oggi ritenuti offensivi come «negro», «nano» o «maomettano». La moda del politicamente corretto è un calzante esempio degli infiniti equivoci che possono nascere se si proiettano le convinzioni del presente sul passato. Un problema che si poneva anche Rosario Romeo polemizzando con un libro dedicato alla Grande Guerra che definiva «grotteschi» gli ideali del conflitto. Il celebre storico scrisse che con lo stesso criterio «l’intera vicenda degli uomini» potrebbe «apparire assurda e grottesca» perché il passato non può essere letto tramite anacronismi e alterazioni. Altrimenti si scatenano tempeste con tanto di tuoni e fulmini. Adesso a illuminare l’uso corretto dell’interpretazione storica arrivano i Lampi sulla storia. Intrecci tra passato e presente di Paolo Mieli (Rizzoli, pp. 352, E 20). Gli squarci di luce del saggista ed ex direttore de La Stampa e del Corriere della Sera vogliono farci riflettere su tutto ciò che attualmente toglie senso alla storia e azzera lo spirito critico. Guardare al passato senza gli occhiali di opinioni predefinite ci permette di conquistare nuove valutazioni che riguardano il presente. Mieli passa al vaglio una ricca pletora di personaggi storici, da Robespierre al conte Balfour, dal giovane Gramsci a Caterina de’ Medici, da San Bernardino da Siena a De Gaulle, per descriverli come diceva Romeo, uno dei suoi maestri, liberandoli da ogni prevaricazione interpretativa. Oppure per rovesciare convenzioni accreditate: così, è un altro esempio, al contrario di quel che comunemente crediamo, a ridurre le diseguaglianze non sono state le rivoluzioni ma i due grandi conflitti novecenteschi. In Giappone nel 1937, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, l’1% della popolazione controllava il 20% del reddito complessivo. Nel 1945, dopo la fine dello scontro armato, quello stesso 1% possedeva «solo» il 6% delle risorse. Con pagine coinvolgenti Mieli ci fa capire che liberarsi dai pregiudizi storici non è un esercizio accademico ma una questione di vita o di morte. Cosi il militare polacco Jan Karski aveva 25 anni nel 1939 quando, al momento dell’invasione del suo Paese, fu catturato dalla Gestapo e poi riuscì a fuggire. Rivelò a Londra, a Washington e a New York tutto quello che stava accadendo agli ebrei: «I tedeschi non intendono asservirci come hanno fatto con i polacchi e con altri popoli. Vogliono liquidarci. lutti. Ci corre una bella differenza. Tutti credono che gli ebrei esagerino, che siano in preda a una crisi isterica». Fu il primo a informare sul massacro in atto ma nessuno gli prestò ascolto, nemmeno quando nel 1944 pubblicò una ricca documentazione. Karski divenne a guerra finita l’emblema dell’Olocausto, il testimone ebreo che nessuno volle ascoltare. Perché, come osserva Mieli, «capovolgere la storia vuol dire anche porsi gli interrogativi giusti» e non credere solo a ciò che si desidera e che si ritiene conveniente.

Mirella Serri, La Stampa, 29 novembre 2018