Controvento – Santiago, Italia

kasamHo visto il film “Santiago, Italia” di Nanni Moretti. Una ben confezionata agiografia della retorica della sinistra italiana sul golpe di Pinochet. A 45 anni di distanza, ci si poteva aspettare una lettura più oggettiva ed equilibrata di ciò che successe intorno a quel fatidico 11 settembre 1973. E a Moretti se ne era presentata l’occasione. Ha infatti intervistato, ma poi cassato dal film, l’ambasciatore Emilio Barbarani, che, giovane diplomatico, arrivò a Santiago nel dicembre del 1974, poco tempo dopo il ritrovamento del cadavere di Lumi Videla nel giardino dell’ambasciata italiana. Barbarani e il suo capo, l’ambasciatore Tomaso de Vergottini, erano stai mandati dal Ministero degli Esteri a sostituire Piero de Masi e Roberto Toscano, che avevano aperto le porte dell’ambasciata ai rifugiati politici, ed erano poi stati richiamati a Roma.
Pur non essendo politicamente schierati a sinistra, Barbarani e De Vergottini continuarono a tenere aperte le porte ai rifugiati e a cercare di farli partire verso asili sicuri. Barbarani, che rischiò più volte la vita per salvare i “suoi” cileni (lo ha raccontato nel libro “Chi ha ucciso Lumi Videla” – Mursia – che ha vinto il premio Salvador Allende 2012), riuscì anche a garantire una giusta indagine per l’omicidio di Lumi Videla e a far dichiarare innocenti gli ospiti dell’Ambasciata, in quel momento circa 250, indicando così indirettamente responsabile del delitto la DINA, la temutissima polizia segreta di Pinochet.
Barbarani, che è un amico e una persona che stimo per la sua rettitudine e onestà morale, è stato dichiarato Giusto dall’Associazione Gariwo per la sua coraggiosa opera in Cile.
Ma nonostante si sia prodigato per salvare la vita ai rifugiati (senza essere coperto nemmeno da immunità diplomatica, perché il governo italiano non aveva riconosciuto quello di Pinochet), ha sempre candidamente dichiarato di non essere di sinistra – e peraltro nemmeno di destra – perché le sue azioni, sostiene, sono dettate dalla sua coscienza cristiana che mette sopra a tutto il valore della vita e della dignità umana.
Quando Moretti chiese di intervistarlo, Barbarani mi confessò di essere incerto se accettare: conosceva bene la partigianeria politica del regista e si chiedeva se avesse un senso proporgli una visione meno schierata su quel periodo. Poi decise di accettare, sperando che la sua voce fuori dal coro potesse almeno servire ad aprire un dibattito. Invece Moretti dopo aver registrato l’intervista, ha deciso di non utilizzarla. Nel film parla Toscano, parla Di Masi, parla Calamai, grande amico di Barbarani, e con lui per un breve periodo a Santiago, di Barbarani non si fa nemmeno il nome.
Perché? Era un bieco sostenitore di Pinochet? Senz’altro no: anzi, nel suo libro ne descrive con minuziosità e orrore le malefatte. E si prodiga per contrastarne l’azione erepressiva.
La “colpa” di Barbarani è di gettare un’ombra su Allende, e sulla mitologia che si è creata intorno alla sua tragica figura. “Premetto che non ci tengo ad apparire in un film – sostiene Barbarani, non parlo per ferito amor proprio, ma perché mi dispiace che un’altra volta si sia persa l’occasione di dire qualcosa di diverso dalla retorica che si è sedimentata su quel periodo storico. La verità è che Allende era ormai isolato ed esautorato, un burattino nelle mani dei consiglieri di Castro che stavano preparando un golpe di sinistra per esportare in Cile il modello cubano. Non c’era una idilliaca democrazia di sinistra in Cile nel 1973. C’era un Paese spaventato con un governo debolissimo, ed era spaventata non solo la borghesia latifondista filoamericana: ma anche la classe media, e in particolar modo la comunità italiana, immigrati arrivati poverissimi che erano riusciti a crearsi una vita dignitosa e si sentivano minacciati. Insomma – conclude l’ambasciatore – la democrazia era comunque destinata a morire (a meno che non si voglia chiamare democrazia la dittatura cubana).”
Si fronteggiavano insomma, secondo l’ambasciatore, due minacce di golpe, una a destra e una a sinistra. Pinochet, appoggiato dagli americani, fu più rapido, ma se questo non fosse avvenutoci sarebbe stato comunque un golpe, di segno opposto. Migliore? Chissà…le dittature di sinistra non sono state particolarmente gentili con i loro oppositori.
“Chiunque cerchi di raccontare che cosa stava succedendo davvero in Cile” dice Barbarani “passa per un pericoloso reazionario, se non un simpatizzante fascista. Idem se prova a lacerare il velo che è stato calato sui crimini di Stalin. Io – ribadisce – non sono di destra, sono per l’obiettività. Ho rischiato la pelle per i profughi cileni, nonostante spesso non la pensassi come loro. L’avrei rischiata anche per i perseguitati di Stalin, se mi fossi trovato in Unione Sovietica in quel periodo. Da persona che cerca di mantenere uno sguardo obiettivo mi dà pena questa mitologia nostalgica che continuano a propinarci sul Cile dio Allende. Fare chiarezza sarebbe utile per tutti, in primis per i cileni stessi che non sono ancora giunti a una elaborazione critica del loro passato”.

Viviana Kasam

(10 dicembre 2018)