La recita fuori dal teatro
Amleto ed Arlecchino iniziano tutti e due con la ‘a’ e finiscono con la ‘o’, e forse per quello molti li ritengono uguali. Invece, non lo sono. Per esempio, nel discorso inaugurale dell’anno accademico 1938/1939, tenuto il 10 novembre 1938, il Rettore dell’Università di Roma, Pietro de Francisci aveva fornito un’icastica spiegazione della via nazionale all’antisemitismo, pretendendo che i professori espulsi lo ringraziassero, inserendosi sulla scia di quel 18 settembre 1938 in cui, nel suo discorso a Trieste col quale annunciava l’emanazione delle leggi razziali, Benito Mussolini spiegava che “alla fine, il mondo dovrà forse stupirsi, più della nostra generosità che del nostro rigore, a meno che, i nemici di altre frontiere e quelli dell’interno e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici, che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino.” Insomma, gli ebrei, se fossero stati persone dabbene, avrebbero dovuto pure ringraziarlo per la richiamata generosità, nella quale forse era compreso il nulla osta che diede, a regime ancora saldamente al potere, allo sterminio nazista degli ebrei croati.
A noi interessa, piuttosto, porre l’accento su quella parte del discorso del Duce che allude allo stupore del mondo per le sue azioni, inconsapevole che il mondo aveva ben altre preoccupazioni che quella di stupirsi per la sua generosità. Per contro, avrà modo di stupirsi, il mondo, della connotazione meramente istrionica delle sue azioni nei riguardi dei forti, culminate nella sconfitta contro qualsiasi nemico e nell’asservimento ai suoi amici tedeschi.
Lascerà tuttavia un’impronta indelebile la fusione della politica con la recitazione, una maledizione che non ci abbandonerà mai più, e che contagerà soprattutto gli antifascisti, diventati retorici come e quanto il Duce, costretti a ricostruire un fascismo di cartapesta per non diventare disoccupati, obbligati a recitare anche loro ed a riproporre il ruolo dell’antifascista anche a fascismo morto e sepolto. La vedova di Almirante, Donna Assunta, è rimasta il personaggio più lucido, laddove ha spiegato che il fascismo dipendeva da un uomo, Mussolini, e che è morto con lui. Gli italiani, però, non possiamo rinunciare a questa bella recita, sia del fascista che dell’antifascista, e continueremo a portarla in scena anche dopo che la vita sulla Terra sarà esaurita ed il nostro pianeta si sarà, infine, raffreddato. Dopotutto, perché essere di meno degli argentini? Se loro si sono rovinati col peronismo, perché non rovinarci anche noi col fascismo? Ecco, farci del male senza bisogno potrebbe essere il peggior modo che ci è rimasto di stupire il mondo.
Emanuele Calò, giurista