Orizzonti – Com’era leggendaria e multietnica Odessa
Vladimir Jabotinsky / I CINQUE / Campanotto
La mitica Odessa si intreccia alla trama dei I cinque, il romanzo sui Mil’grom, una famiglia ebrea con cinque figli, scritto da Vladimir Jabotinsky. Pubblicato nel ’36, in Italia è uscito solo quest’anno in ben due edizioni, una edita da Campanotto, un piccolo editore di Udine, e l’altra da Voland. I Mil’grom sono dei Finzi Contini sul Mar Nero, raccontati tra il dorato fin de siècle e il periodo tempestoso dei pogrom e della rivoluzione. Uno degli episodi centrali è l’attacco dei cosacchi alla folla inerme nel 1905. Il massacro non avviene sulla scalinata Potemkin, come nel film di Ejzenstejn o nella parodia fantozziana, ma – secondo la verità storica – nelle vie dei dintorni. La scalinata tra l’altro è stata realizzata dall’architetto italiano Francesco Boffo. Fondata da José de Ribas, ammiraglio spagnolo nato a Napoli e finito al servizio di Caterina II, Odessa è molto più legata all’Italia di quanto l’Italia sia legata a Odessa, come dimostrano queste lodevoli edizioni tardive del romanzo. Al teatro dell’Opera sono passati molti cantanti italiani, durante un’alba sul Mar Nero qui è stata composta la musica di O’sole mio, e lo stesso Jabotinsky ha studiato alla Sapienza adottando il nom de plume giornalistico di «Altalena». Diventato sionista revisionista, si rivolgerà a Mussolini non trovando più sponda in Inghilterra. Ben Gurion lo chiamava «Vladimir Hitler«. Jabotinsky morirà arringando gli ebrei di Hunter (New York) in una calda giornata di agosto del ’40. Jabotinsky temeva che le moderne tempeste di piombo e idee avrebbero schiacciato gli ebrei dell’Est. Lottava per un piano di totale evacuazione in Polonia, Romania e Ungheria. Come se prevedesse la Shoà, un grande pogrom finale. Ma come nel romanzo di Bassani, qui non scorre sangue. Il tono di una «dolce tristezza» prevale. C’è un punto nel libro molto toccante in cui la vera protagonista del libro – dopo Odessa s’intende -, la bellissima Marusja Mil’grom dai capelli rossi, dice: «Solo pochi giorni fa la mamma mi ha pregata di non toccare i bambini russi, perché potrebbero anche pensare che io dia loro le caramelle con l’arsenico: ha letto su un giornale che in Bessarabia hanno messo in giro questa voce». Nel 1903 e 1905 in Bessarabia, a Chieinäu, oggi capitale della Moldavia, si scatenano due progrom che precedono quello di Odessa. La polizia non interviene. La condizione degli ebrei nell’impero zarista era peggiore che nel resto d’Europa. Per questo saranno molto attivi nel sostegno del sionismo e della rivoluzione, che oggi qualche russo vede ancora come complotto ebraico. Con la vittoria dei bolscevichi, la situazione migliora almeno fino al dopoguerra, quando Stalin, soprattutto a causa della nascita dello stato di Israele, cade in preda alla paranoia antisemita. Viaggiando tra le pagine o le pietre, in città leggendarie dell’Est come Odessa, ci si rende come la multietnicità sia stata una bomba a orologeria, ma anche un grande dono. Oggi, per ragioni culturali o turistiche, si cerca di rivendersela come favoloso retaggio storico, ma non sembrano finiti i tempi dei risentimenti tra etnie diverse, se non delle guerre come in Ucraina. Jabotinsky amava viaggiare come inviato, ma amava ancora di più tornare. Quando scrive I cinque, ormai impegnato nella causa sionista, era consapevole che non avrebbe più rivisto la città dove era stato felice. Odessa intanto cambiava anima se non volto. L’economia locale, basata sulla esportazione del grano ucraino e l’importazione di prodotti – si veda la lista dei cibi nel matrimonio del gangster descritto da Babel’ – era in crisi per vari motivi. In primis la chiusura dello stretto dei Dardanelli a causa delle guerre balcaniche. I tempi stavano diventano troppo seri e pesanti perché lo spirito godereccio e ironico degli odessiti sopravvivesse. Giravano troppe pistole e idee incendiarie. La stessa Marusja muore in un incendio, anche se dovuto a un incidente domestico. Il suo talentuoso fratello, Sergej, viene sfregiato con l’acido da un marito geloso. La piccola Lika, la più introversa di tutti i Mil’grom, dopo essere stata deportata in Siberia fugge, diventa una spia comunista e forse finisce al muro. Meno ottimista di Ripellino nel famoso explicit di Praga magica («Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti Ed io forse vi ritornerò. Certo che vi ritornerò…») Jabotinsky si congeda dal lettore amaramente. La musica era cambiata e lui da cronista bon vivant era diventato sionista di destra, ma va da sé che avrebbe preferito continuare ad ascoltare la stessa canzone: «Quand’ero bambino Odessa era ancora la regina e agli attracchi fumaioli e alberi maestri svettavano come una foresta; in seguito si diradarono, ma io voglio tutto così, com’era nella mia infanzia: una foresta e ovunque grida di marinai, barcaioli, scaricatori, e se si potesse udire, risuonerebbe la più dolce canzone dell’umanità: la melodia di cento lingue diverse». Forse idealizza troppo il passato, ma non lo si può accusare di non avere sentito prima degli altri il male del suo tempo.
Antonio Armano, Il Sole 24 Ore Domenica, 10 dicembre 2018