Jehudà…

Una delle fonti di riferimento del principio di responsabilità reciproca di tutti i figli d’Israele è il comportamento che Jehudà manifesta in tal senso verso la sorte del fratello Beniamino; nel momento in cui questi viene accusato di aver rubato la coppa del principe egiziano – ancora non avevano scoperto trattarsi del loro fratello Giuseppe – ed appare quindi soggetto a scontare la colpa con la schiavitù perpetua, Jehudà ricorda l’impegno preso con il padre Giacobbe “Io mi sono fatto garante del ragazzo presso mio padre..”; per mantenere fede a tale promessa, Jehudà propone di essere preso lui stesso come schiavo, in sostituzione del fratello. Di fronte a tale comportamento, Giuseppe si fa infine riconoscere e si ristabilisce così l’unità della famiglia di Giacobbe. L’episodio è certamente esemplare, tuttavia può indurci a ritenere che il criterio così forte di impegno reciproco verso il bene comune si riferisca essenzialmente a situazioni estreme, in cui è in gioco la stessa sopravvivenza fisica. C’è però anche un altro tipo di impegno reciproco, che riguarda la continuità e la garanzia del futuro del popolo ebraico dal punto di vista dell’identità e dei valori spirituali, anche su questo vale lo stesso criterio del sentirsi garanti gli uni per gli altri; forse non a caso lo stesso Jehudà viene inviato dal padre Giacobbe ad aprire la strada per il loro insediamento in Egitto, con una missione che viene interpretata dal midrash come il compito di stabilire un luogo dove lo studio della Torah, di quella che essi conoscevano intimamente, prima ancora che venisse data sul Sinai, fosse garanzia di sopravvivenza spirituale per le successive generazioni, nell’oscuro periodo di esilio che li attendeva. Lo stesso Jehudà che si fa garante della ritrovata unità della famiglia ne garantisce così anche la continuità spirituale. L’impegno per una seria educazione ebraica è il primo segno con il quale l’ebreo manifesta il senso di responsabilità per il futuro del popolo ebraico.

Giuseppe Momigliano, rabbino