Uno sguardo oltre la crisi
Chanukkah ci ha appena lasciato, ma i suoi profondi e ampi significati, così pregnanti rispetto alla realtà di oggi, ci accompagnano e (è il caso di dirlo) ci illuminano. La poliedricità di senso legata al cimento del mondo ebraico con quello ellenistico mi ha sempre portato a riflettere, a ribadire con convinzione l’importanza – anche per l’ebraismo – del contributo del pensiero e del mondo occidentale, ma anche a cogliere la centralità dell’elemento di distinzione che caratterizza la nostra identità e il nostro sguardo sul mondo. Mai come quest’anno, però, il significato della festa, l’incontro/scontro tra due approcci razionali talvolta complementari ma fondamentalmente diversi mi è sembrato attuale e ricco di suggerimenti.
Le abitudini, la mentalità, la cultura greche che si insinuano nel mondo ebraico del II secolo avanti l’era volgare e lo conquistano dall’interno rappresentano da sempre ai nostri occhi alcune radici di quella civiltà occidentale nella quale siamo inseriti e alla quale partecipiamo come ebrei apportando peraltro il contributo originale della visione biblica, anch’essa tassello essenziale della sua evoluzione. Il rischio che Chanukkah denuncia e affronta è il venir meno dell’equilibrio nel nostro inevitabile e per molti aspetti positivo inserimento in quel “mondo degli altri” che giustamente (ma parzialmente) è anche il nostro; è il rischio dello smarrimento di sé e della propria identità, della perdita di consapevolezza della propria storia e del proprio ruolo, il rischio dell’auto-annullamento nel magma affascinante del naturalismo, del pluralismo, dell’oggettivismo scientifico: tutti doni preziosi del mondo greco all’umanità, doni però in qualche modo “avvelenati” perché inibitori della coscienza storico/nazionale e soprattutto scettici distruttori di uno spirito trascendente e unitario, fondamento invece della Weltanschauung ebraica. Credo che il pericolo rispetto al quale Chanukkah possa fare oggi da antidoto sia però in qualche modo ancora dilatato; le sue luci, richiamo alla spiritualità e alla coscienza di una dimensione superiore rispetto alla natura, sono un’arma simbolica contro l’omologazione imperante negli atteggiamenti e nelle scelte, contro il pensiero unico e massificante che nuovi modelli politici tendono a imporre. Accendere i lumi per otto sere riaffermando la nostra identità storica e culturale può essere una risposta di autonomia rispetto al tentativo di aggregazione imposta e auto-esaltante proveniente dal vertice.
Proseguendo il confronto passato/presente con un gioco di metafore un po’ surreali ma forse non del tutto infondate, la resistenza dei Maccabei e dei loro seguaci all’esercito greco si avvicina all’attuale opposizione di poche (e odiate) élite coscienti al populismo becero che ci guida. La devastazione e la sconsacrazione del Tempio rimandano alla distruzione di valori consolidati (dalla solidarietà alla democrazia rappresentativa) operata dai sedicenti rivoluzionari che ci governano. La mancanza di combustibile puro per la menorah ci suggerisce l’assenza – nella crisi attuale – di stimoli e di propositi nobili in grado di accendere la luce del mondo. E il miracolo dell’olio dell’ampolla che dura per otto giorni? Evoca la forza della nostra consapevolezza ebraica, sufficiente ad alimentare una resistenza spirituale capace di far sopravvivere la luce della speranza in un orizzonte ogni giorno più plumbeo.
David Sorani
(14 dicembre 2018)