“Non lasceremo che vinca la morte”

“Nostro figlio Amiad Israel ha unito il popolo ebraico nei tre giorni in cui è stato in vita. Un risultato che in tanti perseguono nella loro intera esistenza, senza riuscirci”.
Il volto provato dalla sofferenza, dal lutto più terribile che si possa immaginare. Ma comunque la volontà di guardare avanti, anche nel nome di quella vita spezzata quando era ancora nella pancia della mamma, incinta al settimo mese. Una lotta per sopravvivere che ha tenuto un intero paese con il fiato sospeso per 72 ore di speranza e angoscia, fino al drammatico epilogo.
Amichai Ish Ran e sua moglie Shira si sono presentati davanti alle telecamere, a una settimana esatta dall’attentato terroristico palestinese a una stazione del bus nei pressi di Ofra in cui hanno perso il figlio che di lì a qualche settimana sarebbe venuto alla luce e che è stato fatto nascere attraverso un parto indotto. Un disperato tentativo per salvarlo. Da allora su quella giovanissima vita e su quella giovane coppia si è concentrato l’affetto di milioni di persone.
Dagli ultraortodossi ai laici: tutti si sono mobilitati per far sentire il loro affetto con preghiere e doni, ha sottolineato Amichai nel corso di un incontro con la stampa tenutosi nell’ospedale di Gerusalemme dove sono entrambi ricoverati. Ha poi aggiunto Amichai: “Possono pugnalarci, spararci, travolgerci, lanciare pietre contro di noi, ucciderci, uccidere i nostri figli, ma non possono spezzarci, non glielo permetteremo”. Gravemente ferita nell’attacco e in lotta per la vita per alcune ore, Shira ha detto di sentire “il sangue di tutto il popolo ebraico fluire dentro di me”. Un fatto che, ha aggiunto la donna, “mi rafforza fisicamente e la aiuta ad affrontare questa prova”.

(17 dicembre 2018)