Le insidie del pensiero moderno

Emanuele CalòCesare Salvi (Diritto postmoderno o regressione postmoderna? Europa e Diritto Privato, 2018, p. 865) giustamente riporta che, per Jean-François Lyotard (La Condition postmoderne. Rapport sur le savoir, 1979) “la caratteristica della società postmoderna è per lui la fine della “grandi narrazioni” (illuminismo, idealismo, marxismo, cristianesimo, capitalismo) che avevano variamente legittimato l’idea, tipica della modernità, della storia come progresso”. In diritto italiano, peraltro, la fine degli schemi, sostituiti da clausole generali basate su di un’inutile retorica fascista, era stata promossa da Emilio Betti ed ha riscosso consensi unanimi fino ai nostri giorni; il crollo, anche recentissimo, di diversi istituti non riesce a scalfire una tale immotivata adesione (cfr. A. Guarneri, Il contratto immeritevole e il rasoio di Occam, NGCC, 2/2018, p. 253).
Lyotard, fra altro (p. 171 dell’edizione spagnola), menziona il discorso di Martin Heidegger quando si insedia nel 1933 come Rettore dell’Università di Freibourg im Brisgau, nel quale espone un suo manifesto consistente non nell’emancipare l’umanità in generale bensì nell’esaltare terra e sangue; inserendo un elemento razziale, conclude l’autore, l’esito sarà “disastroso”. Qui, però, vi era una narrazione, per quanto indistinguibile dal proposito criminoso vero e proprio.
Ai nostri fini, interessa anche ciò che Lucio Colletti aveva rappresentato quale Tramonto dell’ideologia (Bari, 1980), in un’ottica non molto dissimile da quella di Lyotard. D’altronde, il fenomeno dell’abbandono delle grandi narrazioni, in favore di un’accresciuta dose d’entropia dovrebbe rientrare nell’alveo delle correnti osservazioni. Narrazioni che, in qualche modo, sembrerebbero accostarsi pericolosamente allo storicismo.
Più volgarmente, però, l’evoluzione degli ultimi decenni sembrerebbe riportarci, piuttosto, al pensiero di Marshall Mc Luhan (Understanding Media: The Extensions of Man, 1964), ormai forse decrittato nel suo versante più inquietante perché profetico, laddove la profezia non annuncia un avvenire luminoso quanto, piuttosto, delle sciagure pressoché certe. Il riferimento è alla sottesa sostituzione del mezzo al messaggio, che infonde credibilità a quanto dovrebbe essere ontologicamente incredibile. In questo senso, il pensiero postmoderno potrebbe pure insinuarsi in veste ossimorica, appena si rilevi come il pensiero ‘magico’ si sia tutt’ad un tratto affermato ovunque, forse per via delle sue tante radici. Però Mc Luhan era stato anche un incredibile profeta: “The electric technology is within the gates, and we are numb, deaf, blind, and mute about its encounter with the Gutenberg technology”; Internet ante litteram e allo stato puro.
Naturalmente, laddove la ragione viene meno, il destino delle libertà individuali e dei diritti umani è segnato o, nel migliore dei casi, è destinato ad un’esistenza precaria. Ciò, anche per via della cecità di chi persiste, felicemente indignato, nelle narrazioni classiche, allorquando esse sono visibilmente (e spesso ingiustamente) superate dalla metanarrativa esposta da Lyotard oppure, nel peggiore dei casi – che però è anche il più realistico – dall’inconsapevole e insidioso pensiero ‘magico’, sul quale dovremmo aver modo di fornire in prosieguo qualche primo spunto.

Emanuele Calò, giurista