PROTAGONISTI Lodovico Mortara, una figura da riscoprire
Massimiliano Boni / IL FIGLIO DEL RABBINO / Viella
In “Solo per un giorno” ha intrecciato sport, identità ebraica, preparazione alle piccole e grandi sfide della vita facendoci correre e sudare assieme a lui nella periferia romana. Ne “Il museo delle penultime cose”, con una brillante intuizione narrativa, ha trattato il tema di stretta urgenza di un mondo orfano della voce dei Testimoni diretti della Shoah. Proseguendo una felice produzione saggistica che ha inaugurato con uno scritto-denuncia del 2014 dedicato alle troppe amnesie che ancora aleggiano attorno alla figura di Gaetano Azzariti, il presidente del Tribunale della razza fascista che fu al vertice della persecuzione antiebraica e che l’Italia democratica degli Anni Cinquanta erse a paladino del diritto assicurandogli la presidenza della Corte costituzionale, Massimiliano Boni torna a far parlare penna e intelligenza in un libro di valore: Il figlio del rabbino, appena pubblicato dalla casa editrice Viella.
Ad essere ricostruita è la vicenda di una delle figure ebraiche più significative dell’Italia post-risorgimentale, l’avvocato mantovano Lodovico Mortara (1855-1937). Nato austriaco, dello Stato unitario in cui gli ebrei italiani si distinsero in molti campi fu protagonista ai più alti livelli della giurisprudenza e delle istituzioni. Senatore, ministro della Giustizia, presidente della Corte di Cassazione romana: una brillante carriera che il fascismo mise in soffitta nel ’23 imponendogli il pensionamento anticipato. E un impegno che è impossibile scindere dalla sua identità ebraica, pur avendo scelto fin dalla giovane età una strada assai diversa rispetto a quella del padre Marco, uno dei più importanti Maestri italiani del diciannovesimo secolo.
In occasione di una recente conferenza internazionale organizzata a Roma dalla International Association of Jewish Lawyers and Jurists, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, citando rav Jonathan Sacks, ha ricordato come in ogni Costituzione che si fondi su valori di uguaglianza e rispetto si senta “un forte accento ebraico”. Segno tangibile, ricordava, dell’immenso contributo che gli ebrei hanno sempre dato alla causa del diritto. Mortara figlio agisce in questo solco, come ben racconta il volume di Boni. La sua vita, intensa e caratterizzata da una costante ambizione che gli fece bruciare le tappe, si interrompe alla vigilia dell’infamia massima: la promulgazione delle Leggi razziste che misero ai margini della società gli ebrei italiani e che, come ricordano diverse iniziative in questi mesi, sradicò dalle aule dei tribunali più di una generazione di avvocati e giuristi.
Per Mortara la rimozione fu postuma, ma non per questo meno grave. Il libro di Boni rappresenta un contributo fondamentale, per analizzare una figura così significativa sotto diversi aspetti. Compreso il rapporto non sempre semplice con l’establishment ebraico, cui però in qualche modo, anche nei momenti di maggior scontro, restò sempre indissolubilmente legato. Tanto da presentarsi al mondo non solo come un giurista di fama ma anche, appunto, come “il figlio del rabbino”.