Il regime e gli intellettuali in fuga
La grande ferita del 1938
Durante il fascismo numerosi furono gli intellettuali costretti a lasciare l’Italia, da soli o con le loro famiglie, per cercare libertà e lavoro qualificato in altri paesi europei, nelle Americhe, nell’allora Palestina mandataria (il futuro Stato di Israele).
A raccontare le loro storie, a offrire nuovi spunti di riflessione nell’ottantesimo anniversario dalla promulgazione delle leggi razziste, è il convegno internazionale “L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista” in svolgimento a Firenze su impulso dell’Università degli studi e con il contributo della Regione Toscana e con il sostegno della Comunità ebraica fiorentina.
Numerosi gli studiosi chiamati a intervenire, coordinati nella prima parte di giornata dal direttore della redazione giornalistica UCEI Guido Vitale. A portare un saluto inoltre il rettore Luigi Dei, la vicepresidente della Regione Monica Barni, la presidente della Comunità ebraica fiorentina Daniela Misul, il console generale degli Stati Uniti Benjamin V. Wohlauer.
“Sappiamo che in molti pensarono di lasciare l’Italia per continuare il loro lavoro altrove o per trovare un’occupazione qualificata in base alle proprie competenze. Dove cercarli? Quanti furono, quali i loro percorsi e le loro reti di aiuto? Non fu quasi mai, neppure per i professori già affermati, un semplice passaggio dalla cattedra italiana ad una cattedra in università straniera. In quanti diversi luoghi di lavoro, e talvolta diversi paesi, si spostarono prima di trovare una sistemazione adeguata? Il convegno – ha spiegato aprendo i lavori Patrizia Guarnieri, responsabile scientifica del convegno – vuole richiamare l’attenzione su questi ed altri interrogativi, focalizzandosi sul caso rilevante di Firenze, attraverso le relazioni di vari esperti”.
“Il pensiero di tanti altri che avranno troncata la loro carriera e non sapranno a che santo votarsi mi ha fatto andar via ogni volontà di ridere” scrive alla moglie Ernesto Rossi il 9 settembre 1938, nel momento in cui esplode la campagna razziale. “Se il sarcasmo era stato fino ad allora la cifra stilistica preferita per deridere il Duce, l’antisemitismo e la cacciata degli ebrei dai pubblici uffici segna un mutamento nel suo registro stilistico. Non sono molti – ha osservato al riguardo Alberto Cavaglion – gli intellettuali antifascisti che abbiano percepito in modo altrettanto lucido la gravità del problema”. Sono lettere, le sue, “che vanno intrecciandosi con le coeve lettere ai famigliari di Vittorio Foa”.
La relazione di Francesca Cavarocchi ha invece presentato i risultati di una ricerca in corso sugli studenti ebrei italiani e stranieri che nel 1938 risultavano iscritti all’ateneo fiorentino, a partire da stime quantitative che includono una serie di variabili significative, quali le facoltà di appartenenza e le diverse provenienze nazionali. Attraverso il recupero di alcuni profili biografici, il tentativo è quello di definire “una tipologia orientativa, che tenga conto dei percorsi precedenti all’emanazione delle leggi persecutorie, della reazione ai provvedimenti e delle diverse traiettorie seguite negli anni successivi, fra ‘rifugio precario’ in Italia e nuove, complesse esperienze di emigrazione”.
Focalizzato sulle vicende degli studiosi ebrei stranieri dell’ateneo di Firenze l’intervento di Anna Teicher. Ad essere evidenziati i percorsi individuali dei seguenti studiosi: David Diringer (antichità ed epigrafia ebraica), Isacco Sciaky (filosofia), Alessandro Pekelis (filosofia del diritto); Jacob Teicher (filosofia arabo-ebraica), Nicolai Rubinstein (storia medievale), ed Enrico Jolles (chimica applicata). Con le leggi razziste, è stato spiegato, tutti furono costretti ad allontanarsi dall’Italia. Nel dopoguerra, con l’eccezione di Pekelis, morto prematuramente nel 1946, tutti sono riusciti a proseguire le loro carriere accademiche. Tuttavia fuori dall’Italia, dove alcuni sarebbero voluti tornare. Simone Turchetti ha poi ricordato come Firenze fu in un determinato momento storico uno dei centri avanzati nello studio della fisica in Italia, specialmente attraverso il potenziamento dell’Osservatorio di Arcetri. Nel corso degli Anni Trenta, ha evidenziato, il laboratorio divenne un centro di eccellenza nello studio dei raggi cosmici e delle loro misteriose tracce grazie soprattutto al contributo di un gruppo di giovani ricercatori, comprendente Bruno Rossi, Giuseppe Occhialini, Daria Bocciarelli, Giulio Racah e Gilberto Bernardini. Al centro della relazione le loro vite ed esperienze di studio “nel contesto dei rapporti tra ricerca e fascismo”, con un’attenzione particolare ai loro tentativi “spesso dissimulati” di conciliare interessi di studio e persecuzione di regime.
Nel pomeriggio i lavori riprenderanno con i saluti di Andrea Zorzi e con una sessione coordinata da Lea Campos Boralevi. Ad intervenire Stefano Luconi (“La frattura sull’antisemitismo: la contrapposizione tra intellettuali antifascisti e lavoratori italoamericani di fronte ai provvedimenti razziali del 1938”), Patrizia Guarnieri (“Displaced scholars in cerca di libertà e lavoro in America”), Ruth Nattermann (“Realtà cambiate. Le donne Rosselli tra esilio e ritorno a Firenze”) e Edoardo Tortarolo (“Studiosi tra due mondi prima e dopo il 1945. Percorsi di vita e di studio”). Seguiranno interventi e testimonianze di Guido Calabresi, Sergio Della Pergola, Roberto De Philippis e Irene Jolles Bainbridge.
(nell’immagine in alto, da sinistra a destra, la vicepresidente della Regione Toscana Monica Barni, il rettore dell’Università di Firenze Luigi Dei, il console generale degli Stati Uniti Benjamin V. Wohlauer, la responsabile scientifica del convegno Patrizia Guarnieri, la presidente della Comunità ebraica fiorentina Daniela Misul e il direttore della redazione giornalistica UCEI Guido Vitale).