Il fascismo e gli intellettuali
1938, la ferita e la fuga
Relazioni di alto livello e molti spunti dal convegno “L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista” che si è svolto ieri a Firenze su impulso dell’Università degli studi e con il contributo della Regione Toscana e con il sostegno della Comunità ebraica fiorentina.
La seconda parte dei lavori, moderata dalla professoressa Lea Campos Boralevi dopo che i lavori della mattina erano stati condotti dal direttore della redazione giornalistica UCEI Guido Vitale, ha portato al tavolo dei relatori, tra gli altri, gli studiosi Stefano Luconi (intervenuto con una relazione su “La frattura sull’antisemitismo: la contrapposizione tra intellettuali antifascisti e lavoratori italoamericani di fronte ai provvedimenti razziali del 1938”), Patrizia Guarnieri (“Displaced scholars in cerca di libertà e lavoro in America”), Ruth Nattermann (“Realtà cambiate. Le donne Rosselli tra esilio e ritorno a Firenze”) e Edoardo Tortarolo (“Studiosi tra due mondi prima e dopo il 1945. Percorsi di vita e di studio”).
“La risposta alle leggi antiebraiche del 1938 – ha spiegato Luconi – costituì uno dei principali motivi di contrapposizione tra gli intellettuali antifascisti esuli negli Stati Uniti durante il ventennio del regime mussoliniano e la massa degli immigrati di origine italiana che erano giunti in America prima dell’entrata in vigore delle leggi restrittive sui flussi all’inizio degli anni Venti. I primi, infatti, condannarono senza remore i provvedimenti antisemiti. I secondi, invece, ne recepirono lo spirito e limitarono le manifestazioni di condanna, quando non condivisero addirittura le finalità di tali misure”. La relazione si è proposta di esaminare le ragioni di questa disparità di atteggiamento. In particolare ne ha attribuito la causa più rilevante al fatto che “l’orientamento ideologico degli intellettuali antifascisti venne a scontrarsi con l’astio pregresso che i lavoratori italoamericani avevano generalmente sviluppato nei confronti degli ebrei statunitensi per motivazioni endogene, accentuatesi durante la depressione economica degli anni Trenta, quali le rivalità sul mercato dell’impiego e degli alloggi nonché i conflitti per il controllo delle organizzazioni sindacali e degli apparati locali del partito democratico in cui i membri di entrambe le minoranze militavano”.
La relazione della Guarnieri si è invece basata sullo spoglio dell’archivio di un’organizzazione internazionale cui molti studiosi espulsi si rivolsero in cerca di aiuto per trovare lavoro all’estero. Sorto a New York nel 1933 per gli accademici tedeschi in fuga dal nazismo, l’Emergency Committe in Aid of Displaced German Scholars (poi Foreign Scholars) avrebbe raccolto domande o segnalazioni di circa 6000 studiosi. Dalla fine del 1938 si trovò davanti anche agli Italiani, o meglio a chi scappava dall’Italia. Alcuni erano tedeschi o polacchi, stranieri che in Italia si erano rifugiati dopo il 1933 e poi anche da Mussolini, costretti a fuggire due volte o più. Secondo il comitato, ha spiegato la studiosa, “gli italiani costituirono numericamente il terzo gruppo dei loro assistiti, dopo i tedeschi e gli austriaci; eppure la questione italiana non venne messa ben a fuoco allora e neppure in seguito è stata abbastanza considerata”. L’archivio newyorkese, citato per singoli casi ma finora non sistematicamente studiato, raccoglie una documentazione frammentaria, fatta di appunti a mano, di copie e veline, di passaggi fra persone che spesso non si conoscevano e non sempre si capivano. Emergono così i racconti dell’esperienza migratoria. “Sia dalla parte di chi la stava vivendo con grande spaesamento, sofferenza, e determinazione per ritrovare un lavoro e per dare un futuro ai propri figli, sia da parte di chi riceveva queste disperate richieste di aiuto e funzionava come ente di soccorso ma anche di reclutamento a basso costo, ed esprimeva valutazioni, e pregiudizi, sugli studiosi per lo più ebrei che arrivavano dall’Italia”.
L’esilio di Amelia Rosselli e delle sue nuore Marion Cave e Maria Tedesco, ha sottolineato Nattermann nel suo intervento, è indissolubilmente legato al loro impegno antifascista che condivisero con Carlo e Nello Rosselli. Nel 1937, dopo l’assassinio di quest’ultimi, le tre donne lasciarono infatti Firenze per la Svizzera, l’Inghilterra e infine gli Stati Uniti, scappando ed evitando così anticipatamente le conseguenze delle leggi razziste. Lasciarono un notevole vuoto intellettuale in Italia e specialmente a Firenze. “La scrittrice Amelia Rosselli, veneziana di nascita – ha spiegato la relatrice – era stata per anni direttrice della sezione letteraria del Lyceum, di cui, a partire dal 1931, fece parte anche la colta ebrea padovana Maria Todesco (moglie di Nello), mentre la quacchera inglese Marion Cave (moglie di Carlo), studiosa di lingue romanze, aveva ottenuto l’incarico di ‘lettrice’ di inglese all’università di Firenze all’inizio degli anni Venti, ed era stata attiva nel Circolo di cultura”. La relazione ha messo a fuoco, attraverso documenti personali – soprattutto lettere e testi autobiografici – l’esperienza dell’esilio di queste tre intellettuali, nonché l’esperienza del loro ritorno nel 1946 in una realtà fiorentina “ormai cambiata dall’abisso del fascismo, della guerra e della Shoah”.
Le vicende dell’emigrazione ebraica italiana dopo il 1938, ha poi illustrato Tortarolo, rientrano nel quadro delle trasformazioni nella cultura europea nel periodo tra le due guerre culminato nel conflitto mondiale e nella Shoah. L’impatto di queste trasformazioni, la sua riflessione, “ebbe un impatto spesso drammatico sui singoli coinvolti direttamente e sugli orientamenti di studio praticati in Europa nel campo sia delle scienze naturali sia nelle discipline umanistiche e storiche in particolare”. L’intervento di Tortarolo ha presentato questo quadro generale “con particolare attenzione alle conseguenze che l’emigrazione intellettuale degli anni trenta comportò per l’identità europea del dopoguerra”.
(19 dicembre 2018)