Totocalcio, un futuro a rischio
per l’intuizione di Della Pergola
“Le baracche di legno del campo non erano riscaldate. Dormivamo in letti a castello i cui materassi erano sacchi pieni di paglia e foglie secche. Per coprirci avevamo una semplice coperta. Su di me che dormivo nel letto inferiore cadeva una pioggia di polvere che mi irritava gli occhi. I cosiddetti servizi igienici erano in un baracchino nel vicino bosco. Uno spiazzo centrale serviva per le adunate. La doccia settimanale, situata in un locale a due chilometri dal campo, non bastava ad eliminare il bruciore degli occhi”.
La realtà del campo di internamento svizzero in cui riparò in fuga dai nazifascisti è così descritta da Massimo Della Pergola nella sua ormai introvabile autobiografia “Storia della Sisal e del suo inventore”, pubblicata nel 1997. È la descrizione di un luogo e di un contesto ostile, pur salvifico. Un luogo in cui è già difficile condurre una quotidianità accettabile. Ma è proprio in questa cornice complessa che il giornalista triestino, cacciato dalla Gazzetta dello sport nel ’38 con l’entrata in vigore delle Leggi razziste, ha un’intuizione formidabile destinata a risollevare le sorti dello sport nostrano e a scaldare il cuore degli appassionati: la mitica schedina, poi nota con il nome di Totocalcio.
Una pagina di storia del pallone e della società italiana che rischia di andare presto in soffitta. Come reso noto ieri, infatti, un emendamento dei relatori alla manovra, non ancora votato in commissione Bilancio al Senato, in assenza di colpi di scena archivierà definitivamente l’invenzione di Della Pergola. In Svizzera il nome in codice della schedina era “Progetto P”, ossia “il mio Progetto con la P maiuscola”. Ci pensava giorno e notte, sognando un ritorno in Italia da trionfatore. All’inizio in molti lo presero per un visionario. Poi la cosa piacque e, con un’operazione che ebbe come snodo ultimo il passaggio alla gestione diretta del Coni, gli fu beffardamente soffiata.
Una ferita ancora aperta, anche se Della Pergola ha saputo colmare la sua vita di tante iniziative, responsabilità, riconoscimenti. Oggi però si avverte un senso di vuoto, di profonda tristezza.
Grande l’amarezza del figlio Sergio, insigne studioso e demografo. “È il segno dei tempi, di un mondo che viene progressivamente cancellato e sta quindi scomparendo. Quell’Italia non esiste più e – afferma – non penso sia un bene”.
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(19 dicembre 2018)