Setirot – I conti con la storia
A fine ottobre, godendomi alla Triennale l’interessantissima “…ma poi, che cos’è un nome? Una mostra sul censimento degli ebrei a Milano del 1938” (curata da Laura Brazzo e Daniela Scala della Fondazione CDEC e da Emanuele Edallo dell’Università degli Studi di Milano), ho apprezzato ancor di più se possibile, e “sentito” visceralmente, l’importanza che l’ebraismo riserva al nome, ai nomi. Perché dare un nome non significa solamente facilitare l’identificazione di qualcosa e di qualcuno, ma ha un senso ben più profondo: il nome rappresenta/è l’identità, l’essenza degli esseri viventi. Non a caso, e anche per ribadire l’obbrobrio della blasfemìa nazifascista che voleva sostituire un numero a un nome, i sommersi della Shoah li ricordiamo per quanto ci è possibile sempre uno a uno, nei memoriali, nelle funzioni, nella nostra memoria individuale.
Un pensiero quasi fisso ha così accompagnato la lettura di alcuni dei libri pubblicati in questo 80° anniversario delle Leggi razziste del ’38. Ed ecco che la Storia, grazie a meticolosi e pazienti ricercatori, ci tocca, ci prende per mano, ci mostra l’orrore, il dolore nella loro più assurda banalità, quotidianità, normalità. Ricordiamo Primo Levi: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo». Ricordiamo Liliana Segre, la sua eterna e sacra battaglia contro l’indifferenza: un nome, una storia sono l’esatto contrario dell’anonimato che tanta parte è dell’indifferenza.
Consiglio quindi 1938, l’Italia razzista – I documenti della persecuzione contro gli ebrei di Fabio Isman (prefazione di Liliana Segre, il Mulino); Il registro – La cacciata degli ebrei dallo Stato italiano nei protocolli della Corte dei Conti 1938-1943 di Annalisa Capristo e Giorgio Fabre (prefazione di Michele Sarfatti, con un saggio di Adriano Prosperi, il Mulino). L’inizio è perennemente il medesimo, il censimento degli ebrei del 22 agosto 1938. Che non fu semplicemente una conta bensì una cesura netta e micidiale nella vita delle singole persone come anche nella storia del Regno d’Italia. Da lì ai Provvedimenti per la difesa della razza (RDL 17 novembre 1938, n. 1728) il passo è brevissimo. Il fascismo mette al bando i cittadini ebrei dalla vita pubblica: impone il loro allontanamento dai posti di lavoro, dalle scuole, da qualsiasi ente, associazione o circolo, pubblico e privato, culturale o ricreativo; esige l’annullamento di ogni diritto acquisito fino alla cancellazione delle identità. Dell’identità appunto: come interpretare sennò l’eliminazione dei nomi degli autori ebrei dai libri, dalle rappresentazioni teatrali e da qualsiasi forma di manifestazione pubblica?
Con tutto ciò gli italiani i conti non li hanno ancora fatti, e oggi, forse, ce ne si accorge di più. Lo racconta molto bene Claudio Vercelli in 1938, francamente razzisti (Edizioni del Capricorno. A proposito: se a qualcuno interessasse Vercelli e chi scrive ne parleranno il 27 gennaio al Museo ebraico di Bologna).
Stefano Jesurum, giornalista