Gli ebrei e il mondo arabo
Sono già comparse su Moked due brevi note, entrambe di Marco Di Porto, sui recenti volumi di Georges Bensoussan Gli ebrei del mondo arabo. L’argomento proibito (20/11/2018) e di Vittorio Robiati Bendaud La stella e la mezzaluna. Breve storia degli ebrei nei domini dell’Islam (13/11/2018), e tuttavia appare opportuno tornare sui due lavori, per una riflessione che parta dalla domanda sulle ragioni della quasi contemporanea pubblicazione dei due lavori, a quasi trenta anni di distanza dalla pubblicazione in italiano dello studio di Bernard Lewis (Gli ebrei nel mondo islamico, Sansoni, Firenze, 1991; ma è da tener conto anche la stimolante “Introduzione” di Fiamma Nirenstein alla seconda edizione del 2003), e soprattutto dell’attenzione con la quale i due lavori sono stati accolti, in particolare quello dello storico francese.
Ne sono la prova le numerose recensioni, le più significative delle quali sono quelle di Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” del 13 novembre scorso (“Gli ebrei sono animali immondi”. Il mondo arabo e l’antisemitismo) e di Emanuele Calò su “Shalom” del 26 novembre 2018 (La tragica condizione degli ebrei nei paesi arabi). Ma già Ernesto Galli Della Loggia aveva recensito, sempre sul “Corriere della Sera”, l’11 giugno 2017 (L’Islam moderato non fiorirà mai in un Medio Oriente senza storia), il lavoro di Bensoussan quando esso era stato pubblicato in francese E non va nemmeno dimenticato che quando fu pubblicata l’opera di Bensoussan di più vasto respiro sull’argomento (Juifs en pays arabes. Le grand déracinement 1850-1975, pubblicata da Tallandier nel 2012 e non ancora tradotta in italiano) essa fu oggetto di una presentazione seguita da un ampio dibattito a Milano nell’ambito del Festival Jewish and the City: il resoconto della presentazione fu l’oggetto di un articolo di Fiona Diwan (Alle radici dell’antigiudaismo arabo: sfatiamo il mito della tolleranza araba) pubblicato sul sito della Comunità ebraica di Milano “Bet Magazine Mosaico” del 17 settembre 2014. E in tempi più vicini la pubblicazione dei due volumi ha dato luogo ad altre numerose presentazioni, fra le quali particolarmente significativa è stato quella di Torino promossa dal Gruppo Sionistico Piemontese.
Non si può quindi fare a meno di chiedersi le ragioni di questo interesse, su un argomento che era stato a lungo trascurato. Per rispondere a questo interrogativo bisogna prima di tutto esaminare quali sono le tesi fondamentali sostenute dagli autori. Due sono le tesi fondamentali di Bensoussan: l’antisemitismo non è una caratteristica solo della storia europea, è esistito ed esiste ampiamente anche nei Paesi arabo-islamici; il mito di una originaria concordia tra musulmani ed ebrei che vivevano nei Paesi islamici, rotta soltanto dal sorgere del sionismo, è appunto un mito, che l’autore smonta nel corso del volume. Robiati Bendaud, al contrario di Bensoussan che si concentra soprattutto su quanto avvenuto nel corso del XIX e del XX secolo, traccia le linee di una storia di lungo periodo dei rapporti tra arabi e ebrei, che parte ancor prima della predicazione di Maometto e giunge fino all’ingresso delle truppe britanniche a Gerusalemme l’11 dicembre 1917, con una particolare attenzione alle presenze e agli scambi di natura culturale.
Ma c’è un punto su quale i due autori convergono: la sottolineatura che la condizione degli ebrei nel mondo arabo (anzi, più in generale, nel mondo islamico), è stata caratterizzata, fino alle soglie dell’età contemporanea, dalla presenza della dhimma, dalla riduzione degli ebrei allo stato di dhimmi. In Occidente, accogliendo in sostanza la versione dell’Islam, si è consolidata un’interpretazione che vedeva nella dhimma un rapporto di natura quasi contrattuale: gli ebrei (e i cristiani) dovevano pagare una tassa particolare e in cambio ricevevano protezione e sicurezza. Bensoussan e Robiati Bendaud mettono in evidenza – con ampiezza di citazioni di casi concreti – che la realtà era tutt’altra: l’essenza della dhimma era lo stato di sottomissione e soprattutto di umiliazione e di disprezzo al quale gli ebrei erano sottoposti, che non escludeva la violenza, esercitata in varie forme, nei loro confronti.
Se questo è il punto centrale dei due lavori, dobbiamo riproporre la domanda sulle ragioni dell’attenzione che è stata loro riservata. Credo che si possa dire che le ragioni stiano soprattutto nella ricerca delle radici di due fenomeni asimmetrici che periodicamente tornano all’attenzione del pubblico, quello dei profughi: dei profughi arabo-palestinesi, e quello degli ebrei che in tempi diversi, ma soprattutto in occasione della nascita dello Stato d’Israele, hanno lasciato, o sono stati costretti a lasciare, i loro paesi d’origine.
Due fenomeni asimmetrici, abbiamo detto. Perché, mentre il caso dei profughi arabo-palestinesi è da decenni al centro dell’attenzione della politica internazionale, fino a costituirne uno dei principali centri di crisi e addirittura ad aver dato luogo a una specifica agenzia dell’ONU, quello dei profughi ebrei dai Paesi arabi è rimasto a lungo sotto traccia, consegnato solo alla memoria di chi ha vissuto quell’esperienza, ma escluso dall’agenda politica internazionale.
Non vogliamo in questa sede affrontare il problema dello stato dei mizrachi, degli ebrei di origine orientale nella società israeliana, che pure è argomento di grande rilievo, anche per gli aspetti politici ad esso connessi. Vogliamo solo, rispondendo alla domanda che avevamo posto, mettere in evidenza che l’attenzione verso i libri di Bensoussan e di Robiati Bendaud deriva anche, e forse soprattutto, dall’esigenza di superare quella asimmetria, di mettere in evidenza che – accanto al problema dei profughi arabo-palestinesi, che, come abbiamo ricordato, ha occupato uno spazio tale da rendere impossibile ogni tentativo di mettere fine al conflitto israelo-palestinese, esiste quello degli ebrei costretti a lasciare i Paesi arabi, un aspetto che è stato sostanzialmente ignorato dall’opinione pubblica e in particolare dall’ONU e dalle sue agenzie.
È perciò comprensibile che si voglia tornare a comprendere quale era la vera condizione degli ebrei in terra islamica, superando il mito della tolleranza araba, un mito nato e cresciuto in età illuministica e post illuministica, un mito alimentato sia dai cristiani che dagli ebrei: un mito giustificazionista per gli illuministi e per i liberali del XIX secolo, che ne traevano alimento per sostenere la necessità e la possibilità dell’integrazione degli ebrei nella società europea; un mito consolatorio per gli ebrei, che potevano immaginare – mentre l’antisemitismo faceva passi da gigante nell’Europa dell’800 – che ci fosse stata in terra islamica un’età dell’oro alla quale si poteva tornare.
Valentino Baldacci