Controvento – Coraggio da musei
In questo mondo iperconnesso, in cui le informazioni circolano in tempo reale, capita di rado di scoprire un artista di cui non si era mai sentito neanche il nome… E che artista! Hilma af Klint è una pittrice vissuta fra la fine dell’800 e la metà del ‘900 in Svezia. Faceva parte di un circolo di donne artiste immerse nella cultura esoterica, femministe ante litteram, che frequentavano circoli steineriani, studiavano teosofia e rosacrocesimo, predicavano l’occultismo mettendosi in contatto con realtà sovrannaturali, dipingevano in stato di trance, ma conoscevano tutti gli sviluppi scientifici più avanzati ed erano sostenitrici di Darwin, esperte di atomismo, della teoria dei colori di Goethe e delle ricerche artistiche più all’avanguardia.
Bisogna ringraziare il Guggenheim, che ha organizzato la prima retrospettiva americana di questa potente artista, se ora siamo riusciti a conoscere le sue opere, che lei, consapevole di essere decenni all’avanguardia rispetto alla realtà che la circondava, donò tutte a una Fondazione istituita per conservarle, con il divieto assoluto di esporle prima che fossero trascorsi due decenni dalla sua morte. Di decenni ne sono passati molti di più, ben sette e mezzo (af Klimt morì nel 1944), ma le opere ancor oggi stupiscono per la modernità, le intuizioni geniali, l’armonia assoluta dei colori, delle composizioni, il mistero delle tematiche, la profondità spirituale. Come spiega la curatrice della mostra, Tracey Bashkoff, af Klint anticipò le ricerche di Kandinsky, Mondrian, Malevich e persino Pollock e Kenneth Nolan.
Di Hilma af Klint si sa molto poco. Era profondamente religiosa, ma di una religione che, radicata nel cristianesimo luterano, abbracciava buddismo, teosofia, antroposofia, mistiche orientali, occultismo. Per un certo periodo, con un gruppo di amiche e colleghe, dette Le 5, faceva esperimenti di pittura automatica e di channeling, connettendosi a spiriti evocati nelle sedute medianiche, come era d’altronde di gran moda in quell’epoca (basta pensare alla Golden Down, al mesmerismo, a Anne Besant e Helena Blavatsky). In una di queste sedute fu rivelato alla af Klint che doveva dedicarsi a realizzare una vasta opera pittorica dedicata alla costruzione mistica di un tempio, un lavoro cui la pittrice dedicò parecchi anni della sua vita.
I Paintings for the Temple, giganteschi, misteriosi, carica di simboli esoterici e di riferimenti filosofici e religiosi, sono ora esposti al Guggenheim insieme a decine di altre opere che illustrano il percorso artistico e spirituale di questa donna straordinaria. Tele gigantesche di oltre tre metri, acquerelli minuscoli, olii carichi di simboli comprensibili solo a che è versato nelle scienze occulte (uno sembrerebbe addirittura rappresentare la doppia elica del DNA, che fu scoperta nel 1953, nove anni dopo la morte della af Klint).
I quadri non si possono spiegare a parole, e invito chi è interessato a saperne di più sull’artista di consultare Internet, dove molte pagine e immagini sono dedicate alla mostra, che rimarrà aperta al fino al 23 aprile.
Vorrei però fare una considerazione sul coraggio dei musei americani che si permettono di investire anni di lavoro, oltre che cifre considerevoli, per portare al grande pubblico un’artista che nessuno aveva mai sentito nominare – se non forse qualche studioso specializzato in arte svedese.. E il pubblico ha saputo premiare il coraggio del Guggenheim: in ogni ora del giorno ci sono lunghe code che girano intorno all’isolato.
Venendo da un’Italia in cui la cultura sembra non essere più un valore condiviso e importante fa piacere scoprire che ancora in questa parte del mondo, si fa ricerca, si investe e si rischia.
Viviana Kasam