Oltremare – Fango
La parola in ebraico moderno per fango è “boz”. Ma se chiedete a qualunque nuovo israeliano, di quelli come me che han dovuto imparare la lingua in fretta e furia per poi trovare un lavoro e iniziare la vita nel nuovo paese, il boz è un tipo di caffè. All’ulpan si studia cultura israeliana e lingua in parallelo, e quindi la lezione su come ordinare un caffè in un bar locale è fra quelle fondamentali, almeno per noi italiani. “Names” cioè caffè solubile è un ordine che a nessuno verrebbe in mente di fare in un bar in Italia, mentre qui è fra le opzioni normali insieme all’americano. Esclusi in partenza. Una volta imparato che per avere un espresso basta in effetti dire “espresso” noi stiamo di solito abbastanza tranquilli. Ma in certi posti, diciamo non proprio nella Tel Aviv bohemienne, l’offerta si limita al boz metaforico ovverosia il caffè turco. Chi sa che effetto fa sotto i denti quando per sbaglio lo si beve prima che si sia depositato bene, capisce perché ha il nomignolo di fango.
Delle volte però, in questa stagione che in Europa porta freddo vero e neve, può capitare qui in Medio Oriente di trovarsi immersi nel boz vero, fango a tutti gli effetti. La pioggia improvvisa e violenta fa strabordare tutti i tombini, e anche in città compaiono colate di fango dove un attimo prima c’era una strada, un attraversamento pedonale, un marciapiede. È una specie di miraggio, che nel giro di pochi giorni ritorna allo stato di sabbia raccolta e impilata dal vento; e a meno di impronte profonde di scarpe o di zampe di cane poco furbo, neanche ci si ricorda poi che quella montagnetta di sabbia è stata ad un certo punto della breve tempesta un luogo invalicabile.
Memoria labile e stagionale, la nostra.
Daniela Fubini