Ticketless – Benvenuto Terracini
Molte parole hanno sofferto nel 2018, anno in cui cadeva il cinquantesimo anniversario della morte del grande linguista Benvenuto Terracini. Qualcuno se n’è accorto? Non mi risulta. Dispiace il silenzio nel mondo ebraico. Come dimenticare la sua traduzione del Rabbi di Heine? O i racconti giovanili sulla “Rassegna mensile di Israel”? La sua università di Pavia gli ha dedicato a dicembre un bel seminario, altro ci si augura di realizzare nei prossimi mesi. Mi capita sempre di pensare a quel Grande ogni volta che vedo ammalarsi un “segno” linguistico. Stupidaggini, si dirà, rispetto ai Suoi alti pensieri e ai Suoi interessi scientifici.
Che so, la parola “narrazione”. Nella guerra di tutti contro tutti, che ci accompagna ormai ogni giorno, la “narrazione” altrui è sempre quella sbagliata. A perdere è sempre la libertà di critica. Se fai obiezioni politiche di merito, non ti spiegano perché hai torto, ma ti diranno sempre che la tua “narrazione” è sbagliata: «Vedi di cambiarla». Beninteso, fra virgolette. Decisamente più futile è, appunto, l’uso aereo, scenografico delle virgolette. Avete notato con quale brio i politici dell’ultima generazione sventolano in aria indice e medio della mano sinistra più indice e medio della mano destra per indicare un’idea vaghissima che in quel momento muove i loro alati pensieri?
Meno futile è la malattia che ha colto un’altra parola, che ci riguarda da vicino: «razzista». Quante volte mi è capitato di pensare a Terracini in occasione delle commemorazioni, queste sì intensissime, delle leggi del 1938? Si è presa l’abitudine di chiamarle «razziste»? Se, per fedeltà alla storia della lingua italiana, tornassimo a chiamarle, come sempre s’è fatto, leggi «razziali»?
Per prendere le distanze da quelle leggi non basterebbe chiamarle con il nome adoperato da chi le aveva promulgate e, soprattutto, da chi, come Terracini, si trovò a patirle?
Alberto Cavaglion