…Bensoussan
Non Israele, ma l’emancipazione attraverso l’istruzione. Ma cominciamo dall’inizio. Nel mondo arabo in età moderna, analogamente a quanto accade in parte dell’Europa, agli ebrei è ascritta la condizione di dhimmi, cioè “protetti”, ovvero tollerati a fronte del pagamento di imposte particolari. Questo statuto, scrive lo storico Georges Bensoussan nel recente “Gli ebrei del mondo arabo. L’argomento proibito” (Giuntina), sancisce una situazione di umiliazione e degrado, come è chiaro a chiunque abbia letto le pagine in cui Elias Canetti, nelle “Voci di Marrakech”, descrive l’estrema miseria del quartiere ebraico (mellah) della città marocchina. Stare al proprio posto, tenere gli occhi bassi: sono gli atteggiamenti che contraddistinguono uno schema che gli ebrei magrebini e mediorientali a lungo accolgono come immodificabile. Non a caso, sottolinea Bensoussan, nelle terre arabe “gli ebrei, ai quali era proibito portare armi, erano associati all’immagine femminile”.
Poi, dalla fine dell’Ottocento, succede qualcosa che mette in crisi questo modello, e secondo lo studioso francese è il momento decisivo di questa storia. “Più del sionismo e della nascita dello Stato d’Israele, sono stati l’emancipazione degli ebrei attraverso l’istruzione scolastica e l’incontro con l’Occidente dei Lumi a provocarne la scomparsa in quei paesi, quindi il loro riscatto, un evento inconcepibile per l’immaginario di un mondo in cui la sottomissione ‘dell’ebreo’ aveva finito per costituire una pietra angolare”. A causare la falla che incrina il sistema è l’impegno dell’Alliance israélite universelle, fondata a Parigi nel 1860, che crea una rete di scuole in Maghreb e nelle terre dell’Impero ottomano. E’ con la scuola europea che, poco alla volta e probabilmente al di là delle intenzioni dei promotori francesi, matura il rifiuto dell’assoggettamento e la voglia di riscatto. Questo rifiuto di accettare quello che gli avi avevano subìto in silenzio, nelle cronache dei contemporanei arabi viene interpretato come incapacità a stare al proprio posto; in una parola, ripetuta mille e mille volte: “arroganza”.
L’emancipazione degli ebrei, come quella delle donne, viene osteggiata, e l’ebreo è per eccellenza simbolo della modernità che distrugge l’unità del mondo tradizionale. Non stupisce dunque che la maggioranza degli ebrei tema le indipendenze arabe che si profilano all’orizzonte tra le due guerre mondiali e si concretizzano dopo il 1945. L’ostilità diffusa e la difficoltà nel mondo arabo ad ammettere la possibilità di una indipendenza ebraica – che riguarda innanzitutto gli ebrei come soggetti autonomi – non è, insomma, una ricaduta del conflitto palestinese. “Il naufragio”, continua Bensoussan, “è iniziato molto prima dell’emergere del sionismo; è iniziato quando, attraverso l’alfabetizzazione e un timido processo di occidentalizzazione, le società ebraiche si sono messe a scavare un divario tra sé e le società arabe”.
Nel tempo di una generazione, tra 1945 e 1970, la quasi totalità degli ebrei arabi abbandona le proprie case per stabilirsi in grande maggioranza in Israele. L’unica espulsione in senso stretto avviene in Egitto, ma l’esclusione e la segregazione diffuse, insieme alle violenze spesso spontanee (anche se le autorità quasi sempre sono disposte a chiudere un occhio) e talvolta organizzate dall’alto (come a Baghdad nel giugno 1941) sono determinanti per la diffusione della paura tra gli ebrei. Spoliazioni ed espropri di massa suggellano gli addii.
Oggi sono due i miti che ostacolano la ricostruzione della storia degli ebrei nel mondo arabo. Da una parte, è diffusa l’idea che ebrei e musulmani vivessero in Nordafrica e Medio Oriente in armonia prima del conflitto palestinese, ovvero prima del rifiuto di venire a patti con il sionismo da parte del mondo arabo stesso. Dall’altra, esiste una vulgata altrettanto falsa che vuole trovare nella condizione ebraica in terra araba un “inferno quotidiano”. Entrambe le narrazioni sono faziose, spiega Bensoussan, ed entrambe dimenticano l’elemento che ha cambiato la storia delle comunità ebraiche dall’Atlantico al Golfo persico: l’istruzione. Non l’istruzione ebraica tradizionale, che non è mai venuta meno nei secoli, ma lo studio del francese, della geografia, delle scienze. Una rivoluzione che, piano piano, ha portato centinaia di migliaia di persone ad alzare la testa, a nuove attese, paure e speranze.
Giorgio Berruto