L’anima e il nostro potenziale da coltivare
L’interiorità dell’essere umano include differenti livelli, della cui esistenza egli solitamente non è consapevole, che arrivano molto in alto, e sono il suo potenziale come essenza compiuta. La maggior parte delle persone non arriva neppure all’altezza del primo, quello di base; persino chi è definito come “ba‘al nefesh” si trova, di solito, al livello della mera forza vitale (nefesh). Nello Zohar (parte seconda, 94 b) è spiegato che la persona capace di completare il livello della nefesh perviene a uno più alto, chiamato ruach, che gli apre davanti nuovi spazi della sua essenza, ai quali in quello precedente non poteva accedere come esperienza di vita. E chi riesce a raggiungere il livello di ruach e a completarlo ne ottiene uno ancora più alto, quello di neshamà. In tal modo è possibile spiegare anche il midrash dei nostri saggi – sia la loro memoria di benedizione (Chaghigà 12a) – in cui si dice che la statura del primo uomo arrivava sino al cielo, ovvero: la sua anima comprendeva in sé molti livelli, uno sopra l’altro, sino a un punto di contatto con lo stesso Santo, benedetto Egli sia. La decadenza della sostanza del genere umano dopo il peccato del primo uomo non ha cancellato questa alta statura, ma ha soltanto portato a un cambiamento nella consapevolezza. All’inizio l’anima del primo uomo, con tutti i suoi livelli, era un’unica essenza; invece dopo il peccato l’io umano deve investire un grande sforzo per giungere a quelli superiori. In effetti, l’ascesa dal livello nel quale l’individuo si trova a uno più alto è un compito molto faticoso. È quindi possibile descrivere la struttura interiore dell’uomo come un edificio di molti piani; il primo piano, il più basso e generale, è il livello di nefesh; sopra di esso c’è quello di ruach; più in alto c’è quello di neshamà; ancora più in alto quello chiamato chayà, e superiore persino a questo il livello che porta il nome di yechidà. Tutti quanti esistono in ogni individuo, ma giungono a espressione soltanto in pochi eletti. La maggior parte delle persone vive solitamente al piano terra di questo palazzo, e non sempre lo riempie del tutto. Un individuo si eleva progressivamente quando il suo io non rimane attaccato soltanto al primo piano, quello di nefesh, ma sale ulteriormente al livello di ruach o a quello di neshamà. A volte riesce, per grazia del cielo o in virtù di doni dall’alto, ad ascendere a piani più elevati; ma in ultima analisi tale ascesa dipende da una sua scelta e decisione. Benché la maggior parte delle persone decida di restare al piano terreno (e vi è anche chi preferisce la cantina…), l’intera casa è aperta per chiunque compia lo sforzo necessario. Secondo le definizioni generali che si trovano nella letteratura cabbalistica, il livello di nefesh appartiene al nostro mondo, denominato «mondo dell’azione»; quello di ruach al «mondo della formazione »; e quello di neshamà al «mondo della creazione». E dal momento che questi tre mondi, con tutte le loro differenze, costituiscono un’unità, anche i livelli nefesh-ruach-ne-shamà si presentano come tali, ovvero: sono in effetti differenti l’uno dall’altro per altezza, ma si trovano in un’unica sequenza. Il livello successivo, quello di chayà, appartiene per la sua essenza al «mondo dell’emanazione », che non è un mondo in senso stretto ma un tipo di manifestazione divina. Di conseguenza esso si manifesta raramente e soltanto grazie a sforzi supremi dell’individuo, per mezzo dei quali si eleva e giungeaun qualche tipo di unione con la manifestazione divina. Il livello più alto, invece, quello di yechidà, è persino al di sopra del mondo dell’emanazione, e da un certo punto di vista non è più definibile come anima personale di un dato individuo, ma è compreso nella fonte prima di tutte quante le anime. Perciò è chiamata yechidà, in quanto è l’anima generale, unica, condivisa da tutti.
rav Adin Steinsaltz – L’anima, Giuntina