I Salvemini e il fascismo

baldacci“Gli affetti di Gaetano Salvemini alla prova dei fascismi” è il sottotitolo del recente lavoro della giovane ricercatrice Filomena Fantarella, pubblicato dall’editore Donzelli, il cui titolo è Un figlio per nemico.
La ricerca, frutto del lavoro negli archivi di quattro Paesi, ricostruisce con estrema cura una vicenda, non del tutto sconosciuta ma certamente poco nota, soprattutto in alcuni aspetti privati e familiari, che attraversò buona parte della vita di Salvemini e che ebbe una tragica conclusione.
Salvemini perse, ancora giovane, l’intera famiglia – la moglie e quattro figli – nel terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Come si può immaginare, fu per lui un colpo durissimo, dal quale poté riprendersi solo gettandosi a corpo morto negli studi e soprattutto nella lotta politica, soprattutto battendosi in difesa dei contadini meridionali, in particolare di quelli della sua nativa Puglia.
Qualche anno più tardi conobbe una signora francese, Fernande Dauriac, che si stava separando dal marito, con il quale aveva avuto due figli, Jean e Marguerite. Nel 1916 – in piena guerra mondiale, alla quale Salvemini partecipò dopo essere stato un deciso interventista – i due si sposarono. Salvemini si legò profondamente non solo alla nuova moglie ma anche ai due ragazzi, in particolare a Jean, giovane brillante e intelligente.
Mentre Salvemini percorse il suo cammino di intransigente antifascista, che lo portò a subire la prigione e l’esilio, in Francia e poi negli Stati Uniti, il giovane Jean costruì una sua personalità politica intorno ai principi di un pacifismo assoluto, che in un primo tempo lo portarono a legarsi ad Aristide Briand, sostenitore della pace e di un accordo tra Francia e Germania. La morte di Briand nel 1934 e soprattutto il nuovo clima europeo cambiarono il segno dell’impegno politico e giornalistico di Jean Luchaire, che sempre più militò nel campo di coloro che, di fronte all’avanzata della Germania nazista, sostenevano la necessità – al fine di preservare ad ogni costo la pace – di un appeasement che di fatto significava il cedimento di fronte alle pretese espansionistiche naziste.
Il momento della verità venne nel giugno 1940, quando, al momento del crollo della Francia di fronte alle armate tedesche, si formò il governo del Maresciallo Pétain che firmò l’armistizio con la Germania e scelse una linea di collaborazione con l’occupante nazista, che si accentuò col tempo, fino a far propria anche la più spietata persecuzione antisemita.
Jean Luchaire fu tra quelli che si allinearono con Pétain. Forte anche della sua amicizia con l’ambasciatore tedesco a Parigi, Otto Abetz, conosciuto agli inizi degli anni ’30, quando avevano stabilito un forte rapporto politico in nome dell’amicizia franco-tedesca, divenne rapidamente uno dei più importanti giornalisti francesi, fino a essere nominato Presidente della Corporazione nazionale della stampa francese e quindi di fatto ispiratore e controllore della stampa collaborazionista. Al momento della liberazione di Parigi, nel giugno 1944, seguì il governo in Germania, a Sigmaringen, diventando a sua volta ministro. Alla fine della guerra Jean Luchaire fu processato, condannato a morte e fucilato.
Il lavoro di Filomena Santarella ricostruisce in parallelo le vicende politiche di Salvemini e in particolare la sua lotta intransigente contro il fascismo; la sua vita privata e in particolare il forte rapporto che lo legò alla seconda moglie Fernande e quello con i due figliocci, in particolare quello con Jean, da lui vissuto come un vero e proprio figlio; e la vicenda politica e umana di Jean Luchaire, con la sua tragica conclusione.
Di una vicenda così complessa si possono dare molte letture e molte interpretazioni. Si può insistere sull’aspetto privato, umano, della tragedia vissuta da Salvemini, della sua doppia perdita degli affetti familiari; e su quello, altrettanto e ancor più lacerante di Fernande, che, in una lettera del dopoguerra, sottolineava la sua drammatica condizione, di essere moglie di uno dei leader dell’antifascismo e la madre di un irriducibile collaborazionista.
Ma non tutto è riducibile alla dimensione privata, Perché Jean Luchaire fu anche vittima di una delle più grandi illusioni del periodo tra le due guerre, quella del pacifismo assoluto, di un pacifismo che si era spinto fino a mettere sullo stesso piano aggressori e aggrediti, carnefici e vittime, un pacifismo che – come nel caso di Jean Luchaire (ma non fu il solo) – alla fine si rovesciò nel suo opposto, nel farsi complice della più feroce macchina da guerra del XX secolo. Salvemini aveva chiara questa prospettiva fin dal 1934. In una lettera a Carlo Rosselli, parlando di Jean, scriveva: “È un pacifista a tutti i costi. Vuole la pace con Mussolini, con Hitler, col diavolo. Questi pacifisti sono la rovina del mondo”. In questa invettiva finale non c’è solo la testimonianza del temperamento di Salvemini, c’è anche un giudizio definitivo sulle illusioni di un’epoca, e forse non solo di quell’epoca.

Valentino Baldacci