Machshevet Israel – Elezione, appartenenza, responsabilità

Cosimo Nicolini CoenCome noto di Israel è stata contestata, prima ancora dell’incolumità fisica, l’istanza di essere popolo distinto. Tale contestazione è rinvenibile nei grandi universali che (non a caso) hanno forme dirette o meno di parentela con l’ebraismo stesso, come cristianesimo e islam, ma anche, con differenti ragioni, in Illuminismo e comunismo. Al variare degli argomenti permane il fastidio di fronte alla volontà, proprio da parte di chi ha coltivato l’idea di un Dio universale, di rimanere popolo distinto. Di tale fastidio capita di prendere misura nella vita quotidiana, con chi mal digerisce l’idea per cui determinate prescrizioni riguardino solo un insieme di persone. Come riportato nel libro appena uscito di Hana Kasher (Elion al kol ha-goim, Idra 2018) Leibowitz riconduce il concetto di ‘popolo scelto’ alla shmirat mizvot, l’osservanza dei precetti. Così elezione è entrare in una dimensione di obbligo che idealmente – ossia a prescindere dal grado di osservanza effettivo – informa la vita quotidiana di Israel. A rilevare è che la nozione di obbligo, inteso quale prescrizione, porta con sé la possibilità di un’esclusione. Il che non riguarda solo Israel ma ogni comunità che, come tale, si distingue dal resto: vi sono obblighi che ricorrono (solo) su chi è ebreo, così vi sono obblighi che ricorrono (solo) su chi è membro di questa o quella comunità o nazione. La correlazione di prescrizione e distinzione può sfociare in degenerazioni di vario tipo (nazionalismo, etnocentrismo e così via). A questo rischio si può rispondere in differenti modi. Chiamando in causa la nozione stessa di distinzione e identità. Limitandone la presa sottolineando la comune appartenenza di ogni collettività al genere umano. O ancora – e non in antitesi a questo ultimo punto – individuando prescrizioni che interessano chi non fa parte del gruppo di appartenenza. In tal senso la distinzione tra Israel e le altre nazioni si accompagna ai precetti noachidi e – a monte – alla nozione per cui ogni uomo è be-zelem Elohim, con le implicazioni che Massimo Giuliani ha indagato in La giustizia seguirai (Giuntina 2016). Tuttavia anche quando si guarda alle nozioni più inclusive, come quelle di diritti umani, si noterà (Cary Wolfe, Di fronte alla Legge, Mimesis 2018) come tali diritti procedano distinguendo tra un ‘noi’, gli esseri umani, e un ‘loro’, gli altri esseri viventi. Al che, di nuovo, si prospetta l’alternativa. Mettere in questione tale distinzione, facendo leva sugli elementi comuni (corporeità) e individuando un nucleo di diritti condivisi. Oppure individuare obblighi nei confronti di chi è fuori da questo ‘noi’ (di umanità) – come, a suo modo, fa la Tradizione. Sullo sfondo del tema della distinzione tra Israel e gli altri popoli si intravede, dunque, un nodo più ampio. Dove segnare il confine tra ‘noi’ e ‘loro’? Quali gli obblighi che ricadono su di me in quanto membro di una comunità e quali quelli che provengono dalla mia condizione di essere umano? E, in questo caso, sono obblighi dettati dalla mia condizione razionale o dalla mia natura senziente? Livelli distinti, ma non in necessaria antitesi, come mostra Maimonide* spiegando il divieto di “non uccidere l’animale con il suo piccolo lo stesso giorno” (Levitico, 22, 27-28) sulla base della facoltà immaginativa, che ci accomuna a chi, come l’animale non umano, è distinto da noi.

Cosimo Nicolini Coen