Israele e i nuovi immigrati
I non ebrei la maggioranza
Per la prima volta, nel 2018, in Israele sono immigrati più non ebrei che ebrei. Secondo i numeri diffusi dall’Ufficio Centrale di Statistica, 17700 dei 32600 immigrati arrivati nello Stato ebraico lo scorso anno hanno potuto beneficiare della Legge del ritorno, che permette di ottenere la cittadinanza anche con un solo nonno ebreo, ma sono stati classificati come “senza religione”.
Prevalentemente originari di ex Unione Sovietica e Paesi baltici, hanno infatti un’origine ebraica verificabile con certezza ma non sono ebrei secondo la Legge ebraica. E quindi non possono ad esempio sposarsi nel quadro dell’ortodossia ebraica.
Un tema che, proprio in queste settimane, sta riaccendendo un confronto che investe istituzioni, rabbinato, opinione pubblica.
Come riporta tra gli altri il Times of Israel, in Israele ci sono all’incirca 400mila residenti non considerati ebrei dal rabbinato ortodosso. Secondo Itim, un gruppo di pressione che ha come mission quella di aiutare gli israeliani a districarsi nei gangli della burocrazia, queste persone sarebbero “come sospese in un limbo, impossibilitate a impegnarsi in matrimoni riconosciuti allo Stato, a godere di altri fondamentali diritti propri di chi invece è ebreo”.
Itim ha definito la situazione “inaccettabile, anche per il sistema inefficace di conversioni all’ebraismo in vigore”.
Secondo una indagine del 2014, sempre segnalata dal Times of Israel, la proporzione di non ebrei secondo l’ortodossia che dall’ex Unione Sovietica emigravano subito dopo la Guerra Fredda era decisamente inferiore: tra il 12 e il 20 per cento dei richiedenti. Percentuale decisamente impennatasi sul finire degli Anni Novanta (tra il 40 e il 50 per cento). Dall’inizio degli anni Duemila il dato segnalato è del 56-60 per cento.
(4 gennaio 2019)