L’immagine di Israele
Ciò che rende realmente grande un paese è la sua cultura e la sua arte, gli uomini che attraverso il linguaggio la trasmettono al resto dell’umanità. Oltre naturalmente all’apporto scientifico che una società può offrire al mondo. Amos Oz ha contribuito preziosamente a far conoscere ed amare la cultura israeliana, anche a coloro, che forse prima di leggere uno dei suoi libri, la disprezzavano o ne avevano un’idea distorta. Anche il premier Benjamin Netanyahu, certo distante dalle idee politiche di Oz, ha reso omaggio al grande scrittore: “Uno dei più grandi autori che Israele avesse da offrire. Oz ha contribuito senza fine al rinnovamento della letteratura ebraica, con la quale ha abilmente ed emotivamente espresso aspetti essenziali della vita israeliana.” Difatti, Oz non era soltanto un intellettuale – dove “intellettuale” secondo il critico letterario Edgar Blombert implicherebbe sempre una “disposizione critica” – il quale analizzava sulla stampa locale ed estera la situazione del proprio paese. Come molti altri scrittori israeliani per quanto non sempre in linea con le politiche governative, egli non poneva necessariamente il conflitto medio-orientale al centro dei propri romanzi. Parlava altresì dei conflitti e delle lacerazioni dell’essere umano, della difficoltà nel relazionarsi con l’altro, rendendo così la sua opera universale e accessibile oltre confine. Israele, le sue mille facce, la sua storia fin dalla sua fondazione, il retaggio diasporico, erano comunque parte integrante della sua narrazione, ciò che la rendeva ancora più eccezionale. Amareggia che alcuni anche dopo la sua scomparsa, abbiano continuato a considerarlo un “traditore”, sarei curioso di conoscere qual è secondo gli stessi, l’immagine che Israele, privata dei suoi scrittori (polemici o meno), dovrebbe invece acquisire. O magari no, preferisco non sapere.
Francesco Moises Bassano
(4 gennaio 2019)