Controvento
Donne di potere
Se è vero che la storia la scrivono (e la riscrivono) i vincitori, il cinema la dice lunga su dove stiamo andando.
Dopo Il verdetto, protagonista la bravissima Emma Thompson nel ruolo di una giudice incapace di emozioni che trascura marito e figli per il lavoro (sembra il ritratto di un uomo tradizionale), dopo The Wife e Colette, storie parallele di due scrittrici che si ribellano dopo anni di lavoro anonimo a maggior gloria dei mariti narcisi e vanagloriosi, nella top parade cinematografica in America (ma in uscita anche in Italia) ci sono tre film che hanno al centro figure femminili di potere. Mary Queen of Scots, diretto dalla regista Josie Rourke, rivisita lo storico conflitto tra Maria Stuarda e Elisabetta I d’Inghilterra, e dipinge le regine rivali come due cugine amabili, pacifiste ed emotive, legate da affetto reciproco, ma manovrate da uomini cattivi e guerrafondai che le portano alla tragedia finale, Maria decapitata, Elisabetta trasformata in una maschera di biacca priva di qualsiasi parvenza di umanità. Personalmente, ho forti dubbi che questa lettura (ispirata peraltro dal discutibile romanzo di John Guy) abbia qualche fondamento storico, ma le due attrici Saoirse Ronan e Margot Robbie, sono meravigliose.
Eccezionali anche le tre protagoniste di The Favourite, la Favorita, Olivia Colman (in odore di Oscar), Emma Stone e Rachel Weisz. Il film, che ha critiche contrastanti nonostante il virtuosismo delle interpreti, è curioso perché la favorita di turno non è l’amante del Re, come sarebbe naturale supporre, ma della regina, in questo caso Anna d’Inghilterra, una donna stupida, malata, isterica e segretamente lesbica, manovrata da due ambiziose giovani donne che lottano senza esclusione di colpi per il suo letto. Una storia di potere tutta al femminile, in cui agli uomini sono riservati pizzi, parrucche, belletto e stupidi svaghi salottieri. Sembra preistoria il tempo in cui le attrici si lamentavano di non essere chiamate a ruoli di spessore, ma relegate a vuoti oggetti sessuali. Oggi sembra vero l’opposto: le parti più intense, importanti, difficili, sono tutte per le donne, e si è formata una nuova generazione di attrici di sublime bravura, dalle fattezze non sempre perfette, che recitano senza trucco e la cui bellezza è soprattutto interiore, mentre ai maschi sembrano riservati ruoli violenti e testosteronici, o di fragile e incerta sessualità, o di spalla a donne ambiziose e forti. È il caso del marito di Ruth Bader Ginsburg nel film appena uscito On the basis of sex, che racconta gli esordi della carriera di questa icona del XX secolo, interpretata dalla bravissima Felicity Jones. Le difficoltà della giovane e brillante studentessa di legge, che non trova lavoro in quanto donna, nonostante gli studi a Harvard e la laurea, prima del suo corso, Columbia University, la sua battaglia contro le discriminazioni verso le donne nella Costituzione americana, ma soprattutto contro una diffusa mentalità che le legittima, sono raccontate con pathos e squisita sensibilità –non sorprende che la regista Mimi Leder sia una donna. E’ interessante che il primo caso vinto dalla Ginsburg, caso che poi, come vuole la giurisprudenza americana, costituì il precedente di tutti i verdetti che in breve tempo abbatterono le barriere discriminatorie, avesse come vittima un uomo, al quale il fisco non voleva concedere l’esenzione per le spese di accudimento dell’anziana madre, poiché “badanti” – e come tali fiscalmente favorite – potevano essere considerate solo le donne. Avrebbe vinto la Ginsburg se si fosse trovata a difendere una donna?
Probabilmente, questa ondata di film femministi va ascritta anche al fatto che ci sono sempre più registe e produttrici donne, sensibili a queste tematiche anche perché le hanno vissute sulla propria pelle.
Certo è che a New York, in questo momento, si celebra l’apoteosi delle donne. Migliore mostra dell’anno è stata definita dalla critica la retrospettiva della sconosciuta artista svedese Hilma af Klint (ne abbiamo parlato due settimane fa) e al Met, tempio dell’opera lirica, stanno trionfando due regine del bel canto, Anna Netrebko e Anita Rachesashvili, in un superlativa Adriana Lecouvreur, il cui libretto fu ispirato a personaggi realmente vissuti. Ma l’opera lirica è sempre stata antesignana del potere femminile: Aida, Carmen, Turandot, Manon, le Walchirie. meriterebbe studiarla anche da questo punto di vista. Se il cinema ha dovuto aspettare il XXI secolo per veder trionfare le donne, il melodramma fin dall’800 le vede protagoniste, e spesso libere, forti, potenti – si ci sono anche le vittime, come Traviata o Butterfly, ma pur sempre regine del palcoscenico.
Viviana Kasam
(7 gennaio 2019)