simboli…

Per il 2018 il Time ha scelto come persona dell’anno “Jamal Khashoggi e tutti i giornalisti in pericolo”. Dunque non un uomo forte – o una donna forte – come altre volte successo in passato. Ha preferito invece un gruppo, benché abbia tributato al defunto Khashoggi un onore particolare. L’importanza del giornalismo non è una scoperta nuova, ma è pur sempre una riaffermazione significativa. Rav Cherlow, riferendosi al lavoro di un buon giornalista, fa notare che lo stesso versetto della Torà che vieta la maldicenza si conclude con l’imperativo di “non rimanere impassibili di fronte al sangue del tuo prossimo”: perché evitare la maldicenza non deve voler dire connivenza.
Eppure, per rappresentare il 2018 sarebbe stato opportuno scegliere proprio “l’uomo forte”. Non questa o quella persona, ma la figura in sé. La smaniosa ricerca del politico forte, della guida forte, dell’influencer che si misura a suon di follower…questo fotografa il 2018 più realisticamente, e più tristemente, di quanto i reporter possano fare sul campo.
Le nostre fonti ci suggeriscono qualcosa al riguardo? Direi di sì, e tanto per fare una cosa nuova, in controtendenza. L’ebraismo ha sempre teso a limitare il potere del leader, a preferire chi rifugge l’onore all’eroe trionfante e soprattutto a considerare particolarmente positiva l’epoca in cui sia la collettività a raggiungere il successo. Il Talmud riporta che mai la pioggia fu più benefica che all’epoca di Shimòn ben Shattàch (che potremmo definire paladino delle istituzioni, nonché il fondatore della scuola dell’obbligo) e all’epoca di Erode, in cui il popolo era dedito alla costruzione del Santuario (Ta’anìt 23a).

Rav Michael Ascoli

(7 gennaio 2019)