identità…

Può esistere un’identità ebraica laica?
Si può definire l’appartenenza al popolo ebraico prescindendo dalla Halachà?
Si può appartenere ad una comunità ebraica prescindendo dalla tradizione?
Si può essere ebrei soltanto dal punto di vista nazionale e non religioso?
Per rispondere a queste domande, lascio la parola ad un grande maestro del secolo breve. Se citassi le numerosissime fonti della Halachà sul tema in oggetto apparirei a molti troppo scontato, troppo legato all’ortodossia; molti lettori si chiamerebbero fuori da un discorso strettamente legato alla Halachà, non tanto per incomprensione o per incompetenza, quanto piuttosto per ragioni ideologiche.
Ho scelto quindi di riportare qui un articolo di Heschel, considerato uno dei maggiori interpreti dell’ebraismo non ortodosso. Lascio quindi cogliere al lettore l’attualità di queste parole e trarne le sue conclusioni:

Comprendo pienamente lo stato d’animo di coloro che, in buona fede, si sentono incapaci di proclamarsi ebrei dal punto di vista religioso e, nondimeno, provano attaccamento per il popolo ebraico, per lo stato d’Israele e per la lingua ebraica. Ho esaminato la questione e considerato sia il punto di vista giuridico (Halachà) sia la realtà dei fatti. Che cosa intendo per “realtà”? È un dato di fatto che alcuni membri del nostro movimento nazionale cercarono di fondare l’esistenza ebraica sulla sola appartenenza nazionale e di operare una distinzione tra popolo e religione. È giusto sottolineare che “il popolo in Israele non si considera una nazione separata rispetto all’ebraismo della diaspora”. So quanto alcuni sono profondamente preoccupati per l’esistenza del nostro popolo nella diaspora. La nostra esistenza in quanto popolo è come una montagna appesa a un capello; l’ansia per questo stato di fatto pende su di noi come una spada a doppio taglio. Tuttavia io ritengo che la decisione del governo [di definire legalmente l’appartenenza al popolo ebraico a prescindere dalla Halachà] può solo fare danni. Mi riferisco alla decisione del governo secondo cui: “la religione e la nazionalità di un adulto saranno registrate alla voce ‘ebreo’ se egli dichiara in buona fede di essere ebreo e di non appartenere a nessun’altra religione”. È un assioma della nostra vita che il popolo d’Israele e la Torah formano una realtà fortemente integrata. La decisione del governo spacca questa realtà in due sfere distinte: il popolo è una cosa, la Torah un’altra. Una teoria secondo la quale può esistere un popolo ebraico senza una religione ebraica implica necessariamente che c’è una religione ebraica senza un popolo ebraico. Una simile distinzione può facilmente portare a uno scisma nella vita ebraica. Può inoltre introdurre un mutamento fondamentale nell’essenza del popolo e in quella della Torah. Il popolo sarà come tutti gli altri popoli e la Torah come tutte le altre religioni. Il primo cambiamento comporterebbe la negazione dell’esistenza del popolo ebraico, mentre il secondo farebbe della religione ebraica una chiesa o una setta. Un simile scisma porterebbe alla possibilità che un ebreo volontariamente convertito al cristianesimo rimanga ebreo. È un fatto che nel cuore di molti ebrei la fede nel Dio di Abramo e nella sua Torah non esiste più. È altrettanto vero, peraltro, che molti hanno perso la fede nell’esistenza del nostro popolo, così come, in epoca moderna, è svanita la fede nel ritorno a Sion. Ma come c’è un angelo malvagio che fa cadere una goccia che porta la distruzione, così c’è un angelo buono che fa piovere una goccia di fede. È questa goccia a mantenerci in vita. I nostri figli ci si avvicinano sempre di più. lo non credo nella caduta della fede; credo piuttosto nel suo rafforzamento e nel suo risveglio.
Tuttavia la logica e l’esperienza quotidiana dimostrano che è impossibile fondare l’esistenza ebraica sulla cultura ebraica secolare. Tutte le speranze nutrite dagli scrittori della diaspora in vista della creazione di una cultura secolare sono state calpestate e frustrate. Tutto ciò che ci rimane è la Torah e il desiderio del nostro cuore di trovare una strada verso forme di vita in cui si preservi un aspetto della vita eterna. Voi ritenete che nello stato di Israele “non esiste il pericolo di assimilazione degli ebrei tra non ebrei”. lo credo che il pericolo dell’assimilazione spirituale sia in agguato ovunque; persino l’impresa santa di ricostruire la terra di Israele non costituirà una protezione sufficiente.
Sono ben consapevole delle difficoltà in gioco e posso sentire l’angoscia di quanti trovano il mondo della Halachà troppo angusto. Il guaio è che, da una parte, alcuni identificano il giudaismo nel suo insieme con la sua legge; nella loro preoccupazione per la lettera della legge essi rinunciano alla scintilla ebraica. Rendono la siepe più importante della tradizione che essa deve proteggere. Un simile estremismo, una tale severità ci arreca un grave danno; persino il Creatore del mondo, accortosi che il mondo non potrebbe esistere sulla base della sola giustizia, combinò la qualità della giustizia con quella della misericordia. Occorre flessibilità e non fanatismo. Non possiamo obbligare la gente a credere, la fede indotta dalla coercizione è peggio dell’eresia. Tuttavia possiamo piantare nei cuori della nostra generazione il seme del rispetto. Come stoppini di una candela, molti aspettano di ascoltare la notizia che lo spirito di Dio aleggia sulla superficie dell’abisso, e di godere della luce di questo spirito.
Il problema, dall’altra parte, è che non conoscono la luce contenuta nel giudaismo. Molti, che nicchiano nell’ombra non hanno mai visto la luce in vita loro. Alcuni dei pubblici eretici sono credenti nel segreto, ma non abbiamo ancora trovato una via per esprimere noi stessi di fronte a quanti disprezzano la fede imparata a memoria. In preda alla confusione, vagano in mondi che non ci appartengono. Forse mi sarà consentito notare che, ora che Israele è sicuramente consolidato, è giunto il tempo di riesaminare alcune idee del nostro movimento nazionale. Dovremmo porre in questione la validità della teoria secondo cui la religione è soltanto un mezzo in vista di un fine, uno strumento per preservare il popolo. Questa teoria si basa su premesse che derivano da ottusità mentale. Questo popolo è un popolo eterno. Il suo autentico scopo è essenzialmente religioso. Possiamo spingerei oltre e dire: la Torah di Israele ha come missione la ricerca di una risposta al più essenziale dei problemi nella vita privata e in quella pubblica. Ogni definizione è una perversione. Il termine “ebreo” esprime un concetto simultaneamente religioso e nazionale. In quanto concetto religioso ha una definizione consolidata (dalla Halachà); in quanto concetto nazionale ha un significato oscuro. Per un caso simile noi diciamo che è meglio non definire piuttosto che definire e, per ciò stesso, distruggere ciò che è stato costruito.

(Abraham Joshua Heschel, We Cannot Force People to Believe, in Who Is a Jew: A Reader, New York 1959, pp. 38-39)

Paolo Sciunnach, insegnante

(8 gennaio 2019)