Setirot – La novella degli scacchi
Come è ebraico litigare con Dio. È vivere. Una banalità, forse. Ma averne la riprova leggendo uno scrittore assolutamente laico che amo da sempre mi ha profondamente colpito. Stefan Zweig, un punto di riferimento perché premonitore della catastrofe che visse in prima persona, ebreo austriaco, 1881-1942, e dei periodi bui attuali e futuri. Come quando, nella Novella degli scacchi (Einaudi), scrive: “Ora i nazionalsocialisti, molto prima che armassero i loro eserciti contro il mondo, avevano cominciato a organizzare un esercito altrettanto pericoloso e addestrato in tutti i paesi confinanti, la legione dei diseredati, dei respinti, degli offesi (…)”. O quando nel carteggio con Joseph Roth (L’amicizia è la vera patria, Castelvecchi), spiega all’amico assai più battagliero di lui – è l’8 ottobre 1937 – il proprio atteggiamento: “Roth, amico, fratello, dobbiamo sbattercene di tutto questo. Leggo una volta alla settimana il giornale e ne ho abbastanza delle bugie di tutti i Paesi. L’unica cosa che faccio è cercare di aiutare qui e là qualcuno; intendo non materialmente, ma a lasciare la Germania o ad andare in Russia, o ad aiutare persone che hanno altri bisogni e necessità”. Un uomo arreso? Tutt’altro. Ecco, appunto, il contenzioso con il Signore, meravigliosamente narrato in un racconto che trasuda fede: “Rachele litiga con Dio” (traduzione di Federica Viggiani, pubblicato tempo fa da Elliot insieme a “Il pellegrinaggio”).
Dunque, l’Onnipotente si adira con il suo popolo, tornato ad adorare gli idoli con offerte sacrileghe nel Tempio. I cieli si squarciano, le acque si sconvolgono, la terra si squassa, gli animali muoiono. Le suppliche dei patriarchi e dei profeti non valgono a nulla. Allora si alza la voce tremante di una donna minuta, Rachele, uscita dalla tomba a Ramah. Inizia a parlare con il Benedetto, che l’ascolta in silenzio, ricordandogli tutta la propria vita tormentata: l’amore contrastato per Giacobbe, gli odiosi tranelli del padre Labano, la gelosia della sorella Lea. E come lei fosse riuscita a perdonare, a non recriminare. Se il suo Signore, invece, rimarrà schiavo del proprio furore, vorrà dire che non merita la fedeltà degli uomini: “Sei un Dio estraneo, un Dio della vendetta, un Dio della collera, un Dio del castigo, e io, Rachele, che amo solo il Dio dell’amore e ho servito solo il Misericordioso, io, Rachele, ti rinnego qui, davanti ai tuoi angeli… E pertanto ti accuso: la tua parola, Signore, contraddice il tuo Essere, e la tua parola adirata smentisce il tuo vero cuore”. Come finirà lo scoprirete leggendo. Certo è che tutti i temi profondissimi di Zweig si racchiudono in questo piccolo gioiello – una trentina di pagine. C’è la morte, incombente, minaccia e/o liberazione. C’è il conflitto con l’altro, nemico o amico che sia. Ci sono la lotta contro il potere espresso in termini violenti e sopraffattori, la caduta delle illusioni, il sacrificio inutile destinato al fallimento. Che poi è l’esistenza stessa di Stefan Zweig e la coraggiosa sfida contro il nazismo, finita con il suicidio suo e della moglie in Brasile.
Stefano Jesurum, giornalista