Società – II museo che fa domande alla Storia
Indirizzata com’è ai suoi concittadini di un tempo remoto, la conclusione del neuroscienziato e Premio Nobel Erich Kandel al suo discorso di apertura alla nuova Haus der Geschichte (Casa della Storia) nel cuore della capitale austriaca, appare carica di ironia: «Consiglio ai viennesi di camminare molto: dai miei studi appare evidente che questa attività aiuta a contrastare la perdita di memoria». Oggi nell’Olimpo della scienza, Kandel ha ancora «un ricordo vivido» di suo padre costretto a pulire con uno spazzolino da denti il selciato davanti al suo negozio, ma «l’amarezza, la rabbia e la diffidenza sono diventate accettazione, e riconciliazione». Una ritrovata serenità, suggellata la primavera scorsa dalla posa di una pietra d’inciampo davanti alla casa da cui dovette fuggire all’età di 9 anni. Una metabolizzazione personale e storica difficile e spinosa, che per ragioni opposte si ritrova anche nella più che esitante elaborazione di quel periodo in parte dell’opinione pubblica austriaca. Frutto di 70 anni di dibattiti, il nuovo museo pare nato “nonostante”: nonostante governi sempre diversi e mai davvero inclini a realizzare il progetto dei padri della prima repubblica; nonostante una cronica mancanza di fondi; nonostante puntigliosi diverbi di storici e politici sul come, sul dove e sul nome da dare all’istituzione; e non da ultimo nonostante una collocazione infelice. La Haus der Geschichte è affacciata sulla piazza simbolo di tanti eventi della Storia austriaca, Piazza degli Eroi, ma il portone di ingresso è quello della Biblioteca Nazionale e l’accesso è condiviso con il Museo Archeologico di Efeso, cosicchè salendo lo scalone il visitatore può avere la sensazione di essersi perso: lo spazio espositivo è per così dire incuneato tra sale già destinate da sempre ad altro. In compenso la Haus der Geschichte si è aggiudicata il diritto di gestire il balcone affacciato sulla Heldenplatz. Non un balcone qualunque, bensì quello da cui il 15 marzo del 1938 Hitler annunciò a un’entusiastica folla gremita l’annessione dell’Austria al Terzo Reich, e con essa la sparizione del Paese dal consesso internazionale. Luogo iconico ma troppo scabroso e quindi per così dire rimosso finora dalla pubblica percezione, dall’interno il balcone è una monumentale, radiosa terrazza con vista panoramica sulla residenza del presidente della Repubblica, il cancellierato, la Ringstrasse con il Parlamento, il municipio, e più in là l’università. Edifici che hanno accompagnato l’Austria oltre la monarchia, nell’èra dell’affermazione della democrazia. Un passaggio storico sofferto, che la Casa della Storia tematizza a partire dal 1918, l’anno della fine della Prima guerra mondiale, della dissoluzione dell’impero austro-ungarico e della proclamazione della prima repubblica il 12 novembre dello stesso anno. Un percorso attraverso 100 anni di Storia, che il gruppo di lavoro attorno alla direttrice Monika Sommer ha dipanato decennio per decennio, cercando di mettere in luce sia i fatti strettamente storico-politici, sia il vissuto socio-culturale di ciascun periodo. Un’impresa ardua, date le posizioni così diverse del mondo politico e della società civile su molti temi ed eventi del ventesimo secolo: «Dalla lunga gestazione di questo museo si può dedurre che la nostra repubblica ha molti problema con il proprio passato, in particolare con la complessa riflessione sul ruolo dell’Austria durante la Seconda guerra mondiale e sui crimini di quel periodo, ma anche con la visione degli avvenimenti degli anni 30», ci dice Monika Sommer, «noi però vogliamo essere un forum di dibattito, e porre domande, più che offrire risposte». Così la prima mostra, «Aufbruch ins Ungewisse – Österreich seit 1918» (Verso l’incertezza – L’Austria dal 2018), dà ampio spazio alla partecipazione del pubblico e all’interattività, sia nel percorso espositivo, sia sulla vasta piattaforma online (www.hdgoe.at) concepita come parte integrante e collaborativa del museo. È stato il 2018, così denso di anniversari per l’Austria, ad imporre una svolta nella creazione della Haus der Geschichte, e il suo finanziamento è assicurato per ora solo per il 2019, ma l’uscita dall’impasse di 70 anni è comunque un dato di rilievo: «Pur con una fase preparatoria molto breve, siamo riusciti a creare una collezione di documenti e oggetti già cospicua, e abbiamo dunque voluto aprire le porte al pubblico», prosegue Sommer. Gli ostacoli ad una lunga vita della Casa della Storia non sono ancora superati: «Un problema cruciale sono le trincee ideologiche riguardo al fatidico anno 1934, quello della guerra civile, della fine della democrazia parlamentare e dell’assassinio del cancelliere Engelbert Dollfuss, ma vi è anche l’immagine storica che i partiti o i leader politici vogliono vedere riflessa», osserva la storica austriaca Sophie Lillie. «Sono questi, credo, due motivi che hanno fatto rimandare così a lungo la creazione della Haus der Geschichte: la verità è che non abbiamo ancora le idee chiare su come si debba interpretare la Storia di questo Paese». «ll dibattito sugli anni 30 e 40 del secolo scorso è stato assente per molto tempo anche in Germania ma non così a lungo come in Austria», aggiunge Aleida Assmann, anch’essa storica di livello internazionale e membro del Consiglio scientifico della Haus der Geschichte: «Contrariamente agli austriaci, i tedeschi hanno avuto una generazione del ’68 che comandò a pretendere che si rompesse il silenzio sul nazionalsocialismo, benché va sia voluto comunque ancora del tempo perché si cominciasse a parlarne». In Austria si è dovuto attendere fino al caso Waldheim, alla metà degli anni 80, affinché si aprisse un confronto: «Il rapporto con la Storia recente qui è ancora conflittuale. Ma la democrazia è una creatura fragile, va sorretta e protetta per il futuro», ammonisce Aleida Assmann. «Una comunità che vive in un certo luogo – prosegue -, ha un certo vissuto, e vuole guardare a un futuro condiviso, è anche corresponsabile del destino di tutti i suoi membri e del proprio rinnovamento. La memoria di ciò che è stato è un elemento portante».
Flavia Foradini, Il Sole 24 Ore Domenica, 6 gennaio 2019