La politica e la Memoria
Qual è il rapporto sensato tra memoria e politica? Credo che si debba avere il coraggio di porsi questa domanda, non facile in tempi nei quali il “rammemorare”, il porre la memoria a emblema fa tendenza, particolarmente in alcuni periodi dell’anno come quello attorno al 27 gennaio (molti giorni prima e molti giorni dopo quella data, in realtà) che ci accingiamo ad attraversare. In effetti, il Giorno della Memoria è divenuto un polo di riferimento centrale per istituzioni, enti, associazioni a livello locale e nazionale: un momento di riflessione e produzione creativa che certo ha implicazioni positive, impegnando molti soggetti collettivi a sospendere la prassi quotidiana per impegnarsi nel confronto con un passato che non passa, con la tragedia del genocidio e in genere del nazi-fascismo. Una fase, però, che proprio perché oggi particolarmente visibile e sovraesposta nei media rischia di offrire troppo facili occasioni di immagine, prestandosi dunque a una strumentalizzazione in cui l’uso della memoria in un determinata fase dell’anno diviene politica nel senso deteriore del termine. La posizione di amministratore comunitario nel settore culturale che mi trovo ormai da vari anni a ricoprire mi pone in effetti davanti a casi del genere, con singoli o gruppi che a dicembre e a gennaio cominciano ad affacciare proposte più o meno estemporanee tese a raggiungere visibilità e originalità nel settore allora “obbligato” della memoria.
Ecco che dietro la domanda che formulavo all’inizio si pone, alla base, un altro interrogativo: qual è l’obiettivo primario, inderogabile del Giorno della Memoria? La risposta è precisa: la formazione, per ogni età, ogni fascia sociale, ogni provenienza. Il 27 gennaio dovrebbe essere una giornata dedicata all’acquisizione di una partecipe consapevolezza collettiva nel ricordare l’abisso del XX secolo, anche se paradossalmente – come con amarezza ci rammentava pochi giorni fa Elena Loewenthal su “La Stampa” – essa diviene talvolta spunto per manifestazioni d’odio antisemita.
Alla luce di questo indirizzo primario, che sempre deve fungere da punto di riferimento, il rapporto fra memoria e politica può offrire interessanti occasioni di riflessione e assumere una dimensione ampiamente positiva, se per politica intendiamo l’analisi delle strutture sociali e statuali del Novecento e, in tale ambito, l’educare alla conoscenza e al prendere una posizione cosciente. Fare memoria in modo consapevole implica una visione e una scelta di campo; la memoria è anche, di per sé, una “operazione politica”. Mentre quindi è pericoloso e contraddittorio lo sfruttamento politico/propagandistico del periodo della memoria, può avere un senso praticare una “politica della memoria”, sviluppare cioè un programma nel quale la formazione attraverso l’acquisizione di una memoria consapevole diviene contributo concreto alla crescita sociale e civile. A questo livello la memoria non è più solamente “il Giorno della Memoria”; cessa cioè di essere un fattore celebrativo e occasionale, per divenire effettivamente una costante formativa.
È quanto fanno da sempre molte istituzioni e centri di ricerca che, dal mio osservatorio piemontese, vedo operare lodevolmente da anni per promuovere e talvolta di fatto creare – con analisi, studi, iniziative basate sulla memoria e in particolare rivolte al mondo della scuola – un terreno palpabile di conoscenze storiche e di maturazione civica. Il Consiglio Regionale del Piemonte e il suo Comitato Resistenza-Costituzione, l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società Contemporanea “Giorgio Agosti”, il Museo Diffuso della Resistenza della Deportazione della Guerra dei Diritti e della Libertà sono strutture che istituzionalmente dedicano settori importanti della loro attività ad aprire, analizzare, rendere disponibili gli archivi della memoria attraverso la ricostruzione dei percorsi individuali delle vittime delle persecuzioni, accompagnando gli studenti in itinerari di ricerca spesso fondamentali per la loro formazione.
È quanto fanno alcune amministrazioni locali, ponendo la promozione educativa tramite la memoria al centro della loro politica per i giovani. Due esempi virtuosi: i Comuni di Caselle Torinese e di Lanzo Torinese. A Caselle la Giunta propone quest’anno per le scuole un articolato programma di presentazioni di libri, documentari, spettacoli teatrali volto a tracciare un percorso di preparazione storica capace di individuare sin dagli anni Trenta del Novecento le radici dei totalitarismi nazista e fascista e a delinearne poi i tragici epiloghi soprattutto in Italia, onde evitare ogni troppo facile assoluzione ispirata al solito generico “italiani brava gente”. A Lanzo, con l’intervento dell’Istoreto e della Comunità ebraica di Torino, l’incontro sulle vicende della persecuzione si svolge direttamente a scuola e tocca i ricordi vivi di una terra – le Valli di Lanzo, appunto – in cui molti furono gli ebrei che si nascosero nel 1943-45, salvandosi grazie alla costante solidarietà della popolazione locale, grazie ai nonni e ai bisnonni, dunque, dei ragazzi che adesso ne apprendono in classe la storia.
David Sorani