…Ladany
“I tedeschi sono entrati in Moravia. Sono arrivati a cavallo, in macchina, in motocicletta, in camion ma anche in carrozza, seguiti da unità di fanteria e da colonne di rifornimento, poi da qualche semicingolato di piccola taglia e poco altro”. Emil, invece, non ha a disposizione automobili e tantomeno carri armati. E allora corre. Così in “Correre” (Adelphi) Jean Echenoz comincia a raccontare la storia di uno dei grandi miti popolari dello sport del Novecento, il ceco Emil Zátopek, famoso per le vittorie alle Olimpiadi di Londra 1948 e Helsinki 1952, ma anche per lo stile scoordinato che fa comprensibilmente storcere il naso agli osservatori. Negli anni più duri della dittatura comunista Zátopek sarà costantemente utilizzato come strumento di propaganda e, durante i grandi meeting all’estero, costretto a una libertà parziale e condizionata; anni dopo, diventerà un simbolo della Primavera di Praga e della reazione all’occupazione sovietica.
Anche Shaul Ladany, nato a Belgrado nel 1936 e marciatore professionista, ha cominciato a correre presto, nel 1944, quando sopravvisse al campo nazista di Bergen Belsen; ha poi continuato a farlo durante le Olimpiadi di Monaco del 1972, quando vestiva i colori di Israele ed è sfuggito all’attentato compiuto dall’organizzazione terroristica araba palestinese “Settembre nero”.
Domenica 27 gennaio Shaul sarà a Torino per la terza edizione della Run for Mem, la corsa per la Memoria organizzata dall’Ucei e dalla comunità ebraica locale. Sarà un onore correre insieme a lui, correre per ricordare. Correre: un gesto che indica direzione, dirittura, rettitudine. “Come il buon corridore”, ha scritto Marco Aurelio, “non guardare attorno, ma tira diritto al traguardo, senz’alcuna distrazione”.
Giorgio Berruto
(17 gennaio 2019)