unità…
“C’è forse il Signore in mezzo a noi o no?” dopo una serie di grandi segni che l’Eterno manda al popolo: segni che vanno dalla liberazione dall’Egitto, al passaggio del Mar Rosso; dalle acque che da imbevibili perché amare divengono potabili, alla manna che scende dal cielo sul deserto per sfamare il popolo, essi tornano a lamentarsi nuovamente contro D-o e Moshè perché hanno sete.
Questa volta la fanno grossa, mettendo in dubbio la presenza divina in mezzo a loro.
Il testo prosegue e dice: “e giunse Amalek”.
Amalek si sa è l’acerrimo nemico del popolo ebraico; quel tipo di nemico che ha caratterizzato la nostra storia plurimillenaria, nel colpire sempre la parte più debole del popolo.
In questa storia, però, egli attaccha Israele, dopo che questi avevano dimostrato, attraverso anche il modo di esprimersi, la mancanza assoluta di fiducia in D-o e in Moshè.
C’è un nesso fra ciò che il popolo dice “c’è forse il Signore in mezzo a noi o no?” e la venuta di Amalek?
I maestri della ghematrià ci danno una possibile risposta:
La somma delle lettere che compongono il nome Amalek corrisponde alla stessa somma delle lettere che compongono il termine safek – dubbio.
Quando in mezzo al popolo ebraico vi è un dubbio così grande, tanto da non essere certi della presenza divina fra di loro, si crea una spaccatura e questa porterà sicuramente alla rovina.
Il popolo ebraico ha una funzione che è quella di essere un popolo da esempio per tutti gli altri. Chi ha questa missione, non può dimostrare debolezza, perché la debolezza proviene dal dubbio.
Amalek può essere definito quindi la punizione o il punitore che si insinua all’interno di quella spaccatura, indebolendo ancor di più il popolo.
Il nostro compito, ma soprattutto il nostro destino è quello di essere uniti; questa è la nostra forza. D-o non voglia che vi sia in mezzo a noi uno scontro, questo sarebbe la nostra rovina.
Rav Alberto Sermoneta, rabbino capo di Bologna
(18 gennaio 2019)