La notte dei militanti dementi
L’insegnante, così si è qualificata presentandosi al pubblico, si alza in piedi e formula con immedesimazione ed affettazione, la sua condanna: “Io, che ogni anno porto i miei studenti ad Auschwitz, non mi capacito del fatto che Israele adotti nei confronti dei palestinesi le stesse politiche usate dai nazisti contro gli ebrei”. Fine della comunicazione, tra lo sconcerto del pubblico. Vengono segnali, a partire da Torino, purtroppo non nuova ad “esperimenti” di tale genere, tentativi di piegare le attività del Giorno della Memoria ad esercizi di antisionismo. Il nesso che in genere viene stabilito è quello tra ricordo della Shoah, ebraismo, nazismo e Stato d’Israele. Ci si dichiara animati dal bisogno di riformulare il rapporto tra «antifascismo» e «antisionismo»: per ricordare gli ebrei assassinati dai nazisti, la “migliore cosa” da fare sarebbe infatti l’adoperarsi contro il “nazista” odierno, ovvero lo Stato d’Israele. La dottrina di riferimento, al riguardo, è il rimando al «nazisionismo». Il quale, va da sé, non è critica storica e politica del sionismo bensì sua demonizzazione sistematica. Che si estende, per inevitabile (e voluta) traslazione, alla condanna delle attività degli ebrei che “sbagliano”, quelli che sostengono – spesso anche da posizioni critiche – Israele medesimo. Poi, in un crescendo rossiniano, degli ebrei in quanto tali. Gli unici a salvarsi sarebbero gli esponenti del Bund, il «proletariato ebraico», distrutto non da Stalin e Hitler bensì, si badi bene, dai “sionisti” (qui le virgolette occorrono, per pronunciare con l’adeguata enfasi il termine), interessati ad azzerare (sterminare?) un forte e diffuso partito politico che aveva un programma in opposizione a quello dei sionisti medesimi. Inutile tentare di replicare nel merito (quale, poi?) al delirio antistorico e alla paranoia pseudopolitica di tali affermazioni. Poiché si ha a che fare con una sorta di mitografia nera che, al pari di tante altre, si autosostiene. Peraltro, al concreto riscontro, si tratta quasi sempre di iniziative promosse da gruppi minoritari, spesso marginali, all’affannosa ricerca di visibilità. La diretta ricaduta sulla collettività, ed in particolare su quella studentesca nei cui confronti rivolgono le loro maggiori attenzioni, è contenuta se non irrilevante. Mentre invece non è irrilevante il concorso indiretto che tali affermazioni hanno sul senso comune quando si tratti di consolidare il pregiudizio antisemitico. Poiché è questo il vero obiettivo praticato da costoro. La dottrina del «nazisionismo», infatti, ha iniziato a raccogliere un discreto seguito tra una parte della popolazione soprattutto a partire dal 1982, anno della guerra in Libano. La sua origine, tuttavia, è di marca sovietica, essendo stata progettata e testata con la guerra dei Sei giorni. La sua fredda ossatura stabilisce un rigido e metallico nesso tra vittime di ieri e carnefici di oggi, dichiarando l’ebraismo (il “sionismo”: nei fatti, le distinzioni sono inesistenti) allo stesso modo l’una e l’altra cosa, poiché il tempo recente avrebbe rivelato che l’opera di sterminio praticata dal Terzo Reich sarebbe stata ripresa dalle sue vittime ebree ai danni dei palestinesi e, più in generale, del mondo arabo con la “colonizzazione della Palestina”. Il passo compiuto dai piccoli sacerdoti di questa dottrina, in questi ultimi anni, è stato infine quello di intestarsi le manifestazioni del 25 aprile prima e del 27 gennaio poi, alle quali l’ebraismo (istituzionale e non) ha sempre apportato il suo contributo, essendo parte degli offesi ma anche dei liberatori dal dominio totalitarismo e sterminazionista. Detto questo, la ripugnanza di quei manifestini è indiscutibile. Quasi sempre stampati in formato A4, affissi perlopiù abusivamente, invitanti ad improbabili “seminari di autoformazione” da tenersi quasi sempre in sedi universitarie (che non offrono riconoscimento e legittimazione istituzionale a tali iniziative) non sono solo uno schiaffo alla ragione ma anche e soprattutto un’opera di mistificazione e riscrittura della storia attraverso la riabilitazione del più vieto pregiudizio. Il quale, ancora una volta, detto a chiare lettera a lorsignori, celebra il matrimonio tra certi “rossi” e le piccole moltitudini dei “bruni”. Non c’è alcun antifascismo in ciò, semmai il fascismo di ritorno dei militanti dementi.
Claudio Vercelli