Periscopio – Diversamente abili
Nell’approssimarsi del Giorno della Memoria, credo che sia bene ricordare che, accanto agli ebrei, ai Rom, agli omosessuali e agli oppositori politici, tra le vittime dello sterminio ci furono anche, e in notevole numero, i diversamente abili, molti dei quali conclusero così, in modo atroce, un’esistenza già segnata, fin dall’inizio, da notevoli difficoltà.
Credo che tutti siano d’accordo nel riconoscere che un progresso molto significativo, sul piano civile e morale, si stia registrando, da diversi anni, in molte parti del mondo, riguardo all’atteggiamento nei confronti della disabilità fisica e psichica. Anche se, indubbiamente, gli ostacoli da superare sono ancora tantissimi (relativamente all’assistenza, l’integrazione, il sostegno medico ed economico, le barriere architettoniche ecc.), non c’è dubbio che un cammino virtuoso, almeno sul piano culturale, sia stato iniziato. L’handicap non è più considerato – come accadeva fino a un recente passato – una disgrazia, o una vergogna, qualcosa da nascondere, o da compatire, ma, semplicemente, una condizione naturale, un’espressione del carattere multiforme della realtà, qualcosa che va affrontato sul piano del diritto e dei doveri sociali di solidarietà, con attenzione, responsabilità e impegno, senza superficialità e senza pietismo.
Tra i segnali più evidenti di questo cambiamento di sensibilità, ci sono, certamente, i Giochi paralimpici, che permettono, in tutto il mondo, ad atleti di grande talento di cimentarsi in competizioni sportive che sono per tutti un messaggio di coraggio, fratellanza, accoglienza. Il notevole successo mediatico di tali manifestazioni rappresenta, senza dubbio, un segnale molto positivo, e lascia sperare che il mondo possa fare ulteriori passi sulla strada – sempre impervia, sempre in salita – della promozione dei diritti umani.
Non c’è nessun movimento, nessun partito, nessuna nazione del mondo, che io sappia, che dica – almeno apertamente – di essere contro i disabili, e di volerli emarginare per la loro condizione. Indifferenza e trascuratezza, certamente, ce ne sono ancora, tantissime, ma contrapposizione dichiarata, a quanto risulta, no. Non ci sono i BDS dei diversamente abili.
C’è, però, per qualcuno, un handicap che non merita alcuna tolleranza, alcuna considerazione, alcun sostegno. Coloro che lo portano non vanno aiutati, ma vanno allontanati, disprezzati, odiati, o – meglio ancora – uccisi. Un handicap terribile, mostruoso, che non si vede esteriormente e, proprio per questo, suscita orrore, disgusto, ripugnanza.
Qual è?
Ai prossimi Giochi paralimpici di luglio, organizzati in Malesia, non potranno partecipare – in quanto le autorità non concederanno loro il visto per entrare nel Paese – quegli atleti che, oltre alla disabilità dichiarata, risulteranno anche portatori dell’ulteriore handicap di essere cittadini di un certo Paese (abitato, guarda caso, nella grande maggioranza, proprio da coloro che, per primi, furono mandati nei campi di sterminio). Questi “disabili al cubo” non potranno partecipare ai Giochi. E la risposta del mondo, qual è? Un silenzio tombale. E la parola ‘tombale’, in questo caso, ci sta proprio bene, perché siamo veramente di fronte alla tomba di tutto: dignità umana, sport, civiltà, solidarietà, coerenza.
Il Paese in questione non è nuovo a iniziative di questo genere. Passano i suoi governi, ma la sua morbosa ossessione antisemita appare più granitica della roccia, degna di quella di posti come l’Iran, la Siria o il Libano. Sarebbe bene parlarne, almeno un poco, in prossimità del Giorno della Memoria. Ma non accadrà. Molto più facile continuare a perdere tempo parlando di questione palestinese, ragionando di insediamenti o di linee di confine. Parlare di un conflitto israelo-palestinese che, così come viene configurato, semplicemente non esiste e, proprio per questo, tutti ne parlano. Perché nessuno parla di una bella conferenza di pace tra Israele e Malesia? Semplicemente, sarebbe un po’ più scomodo farlo, dal momento che non si potrebbe chiedere al Paese “diversamente abile” di smantellare gli insediamenti messi in quel lontano, sventurato Paese.
Francesco Lucrezi, storico