L’iniziativa a San Vittore Nel segno di Arpad Weisz
“Arpad Weisz fu il più giovane allenatore a vincere il campionato di Serie A, a soli 34 anni con l’Inter (allora Ambrosiana). Poi portò anche il Bologna alla vittoria. Eppure del suo destino, dopo l’introduzione delle Leggi razziste del ’38, i giornali non scrissero nulla”. Dal carcere di San Vittore, a Milano, il vice-direttore di Sky Sport Matteo Marani racconta la difficoltà di ritrovare traccia del destino del grande allenatore ungherese: nonostante fosse una celebrità sportiva negli anni ’30 in Italia, con le leggi razziste diventò praticamente un fantasma. Marani ne ha ricostruito la storia, attraverso un meticoloso studio d’archivio e grazie al carteggio tra il figlio di Weisz e un bambino bolognese, suo compagno di scuola. Una storia raccontata in un libro e poi riproposta sul piccolo schermo dal giornalista Sky Federico Buffa. E proprio “Buffa racconta Arpad Weisz” è stato presentato a San Vittore, dallo stesso Marani assieme a Daniele Nahum, già vice-presidente della Comunità Ebraica di Milano, davanti a giovani detenuti e ai ragazzi dell’HaShomer Hatzair. Un appuntamento aperto dai saluti istituzionali del capo di Gabinetto del Sindaco di Milano Mario Vanni, di Giacinto Siciliano, direttore della Casa circondariale di Milano e Giorgio Mortara vice-presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Protagonisti dell’iniziativa, anche il giornalista Fabio Caressa e l’ex difensore dell’Inter e della nazionale Beppe Bergomi.
“Sebbene sia insopportabile, occorre ricordare quel che è accaduto perché viviamo all’ombra di Auschwitz e, senza conoscere, si rischia di non riconoscere: l’odio per l’altro, il cripto nazismo, l’antisemitismo. – ha ricordato Mortara – La cancellazione delle tracce dello sterminio rischiano di far trascurare i sintomi premonitori di altri stermini”. Tracce che, come ricordato, di Arpad Weisz ad un certo punto si persero, per poi essere ricostruite grazie al lavoro di Marani, che ha ricordato nel suo intervento anche le scuse del presidente Giovanni Malagò a nome del Coni per l’adesione dell’ente rappresentativo dello sport italiano alle Leggi razziste. “Ma ricordo che le Leggi non colpirono solo le istituzioni ma anche la vita sportiva di tutti i giorni, la quotidianità delle persone comuni con ad esempio la cacciata degli ebrei dai vari circoli di tennis e così via. La dimostrazione di quanto furono applicati quei provvedimenti”. Nel silenzio della popolazione come silenti rimasero tifosi bolognesi e interisti mentre il loro eroe Weisz veniva costretto ad abbandonare il Paese.
Dell’oggi invece hanno parlato Bergomi, Caressa, il consigliere comunale Alessandro Giungi e Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali di Milano, intervistati da Nahum. Tema al cuore del confronto “Lo sport come veicolo per sconfiggere il razzismo”. “Il nostro calcio ha bisogno di esempi positivi – ha sottolineato Bergomi concentrandosi sul mondo calcistico – E dobbiamo far imparare ai nostri ragazzi sin da piccoli cosa significa, la lealtà, la correttezza, il rispetto, il sacrificio”. Sul fronte della violenza negli stadi, Caressa sottolinea il miglioramento che c’è stato rispetto agli anni ’70. “Questo non vuol dire che il percorso sia finito. Manca ancora il passo decisivo ma è un processo culturale che non tocca solo il calcio ma tutto il paese: tutte le istituzioni, calcistiche e no, devono fare la propria parte per costruire un modello positivo”. “C’è chi costruisce sul rancore il proprio progetto politico – ha affermato Majorino – È difficile parlare di lotta all’intolleranza in modo collettivo quando si fa fatica ad accogliere qualche decina di disperati nei nostri porti. Servono scelte dal basso forti, radicali, per cambiare questa situazione”:
Durante l’evento dei rappresentanti delle ACLI di Milano, assieme al Consigliere comunale Alessandro Giungi, hanno consegnato una maglietta di calcio alla squadra di calcio della Polizia penitenziaria di San Vittore. Proprio San Vittore è stata citata dal vicepresidente UCEI Mortara, che ha ricordato l’esperienza di Liliana Segre nel carcere: “Anche i detenuti comuni, come ricordano i pochi sopravvissuti, manifestarono solidarietà e aiuto agli ebrei rinchiusi a San Vittore e la senatrice a vita Segre, alla cerimonia alla Scala, li ha definiti ‘uomini capaci di pietà’ a differenza degli aguzzini nazifascisti”. “Bisogna non solo insegnare la storia ma anche sviluppare la curiosità di conoscere il prossimo ma soprattutto, per una corretta convivenza civile in un mondo globalizzato, insegnare il rispetto della diversità. – le parole di Mortara – A questo proposito mi piace ricordare il progetto sviluppato in Lombardia con il dipartimento delle carceri con tutte le confessioni religiose per formare il personale addetto alle carceri a conoscere le diverse tradizioni culturali e religiose dei detenuti per migliorare le condizioni di vita nelle carceri e quindi favorire il processo di riabilitazione”.
d.r.