Parole di carta
La mostra senese Voci di carta. Le leggi razziali attraverso i documenti della città di Siena, inaugurata il 26 ottobre e visitabile presso l’Archivio di Stato cittadino, sarà meritoriamente prorogata fino al 15 febbraio. L’esposizione, curata da Cinzia Cardinali, Anna Di Castro e Ilaria Marcelli, racconta la legislazione razzista italiana e le sue conseguenze capillari nella vita quotidiana di quanti erano stati classificati come appartenenti alla “razza ebraica”. I documenti ufficiali, le circolari, le disposizioni cosiddette riservate, ma anche fascicoli personali e registri scolastici, mostrano la pervasività di quella che lo storico Michele Sarfatti ha definito ‘persecuzione dei diritti’ come tappa precedente (e solo in Italia non sovrapponibile) alla ‘persecuzione delle vite’: la progressiva e totale esclusione giuridica e marginalizzazione sociale ed economica di parte della popolazione italiana, prima del suo sterminio.
Se i tre decreti legge 1390, 1728 e 1779, emanati tra il settembre ed il novembre del 1938, furono alla base della legislazione razzista antiebraica, negli anni seguenti il regime arrivò ad emanarne quasi duecento, recepiti in ambito locale dalle Prefetture e riproposti sistematicamente attraverso proprie circolari agli uffici statali, enti ed istituzioni al fine di assicurarne meticolosamente la ricezione.
In un’Italia in cui il senso di fedeltà allo Stato era assoluto e l’amore per la patria tale da aver spinto tantissimi cittadini di origine ebraica ad offrirsi volontari nella Grande guerra, ecco che repentinamente il proprio servigio era considerato disdicevole, e sugli ebrei italiani si abbatteva l’onta del congedo forzato “assoluto”, definitivo e senza possibilità di richiamo. Lo testimonia qui il foglio di congedo assoluto dal Regio esercito di Geremia Castelnuovo, il 10 gennaio 1941 (recependo il R.D.L. del 22 dicembre 1938 n. 2111 che aveva stabilito l’esclusione immediata di tutti i cittadini dichiarati di “razza ebraica” dalle Forze Armate del Regno d’Italia). Tre anni prima, lo stesso Geremia era stato espulso anche dal G.U.F. Arnaldo Mussolini di Siena, contestualmente alla cessazione dall’incarico di assistente di segreteria e docente di Ragioneria dello stesso istituto tecnico Sallustio Bandini presso il quale si era diplomato, prima di intraprendere a Firenze gli studi in Economia e Commercio. Il suo lavoro era diventato inutile.
La popolazione ritenuta ebrea secondo la definizione di legge andava infatti separata dai non ebrei, espulsa dalla vita pubblica e culturale del paese in primis, dalla società civile secondariamente (si veda il documento del 15 giugno 1942 sul sequestro dell’apparecchio radiofonico alla signora Laura Galligo vedova Mieli). Più propriamente, questa popolazione veniva cancellata dal consorzio umano: non poteva più pubblicare inserzioni mortuarie (Telegramma del Ministero ai prefetti del Regno, 22 aprile 1941), né comparire sugli elenchi telefonici (Circolare del prefetto ai podestà e commissari prefettizi della provincia di Siena, 26 giugno 1941). Gli ebrei italiani divennero invisibili, trasparenti.
Un “processo di lenta ma inesorabile separazione anche materiale”, come le carte stesse lo definiscono (telegramma del Segretario di Stato Guido Buffarini Guidi ai prefetti del Regno, 27 giugno 1939), da attuare con solerzia: precondizione della successiva, altrettanto meticolosa e capillare, persecuzione fisica.
Sara Valentina Di Palma