Torino – L’Est Europa e l’odio che torna
Un dialogo a tre voci quello organizzato dall’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini nelle sale del Polo del 900 di Torino, per ragionare attorno al tema della rinascita dell’antisemitismo nell’Europa dell’Est e il rinnovarsi di pregiudizi antiebraici nei Paesi ex comunisti. A portare il loro contributo la giornalista de La Stampa Anna Zafesova, fino al 2004 corrispondente del quotidiano torinese a Mosca; Carla Tonini, docente di storia dell’Europa Orientale presso l’Università degli studi di Bologna, e Anna Szwarc Zając, mediatrice culturale sui temi legati alla storia del Novecento della Polonia, il suo paese di origine.
Tre chiavi di lettura, tre percorsi interpretativi che prendono il via da un stesso avvenimento: la legge promulgata a inizio del 2018 dal Parlamento polacco che prevede il carcere per chi accusi lo Stato di essere responsabile o complice dei crimini del Terzo Reich e della Shoah. A moderare il dibattito, che si inserisce nell’ambito del progetto integrato 1938-2018. A 80 anni dalle leggi razziali, è Donatella Sasso, coordinatrice dell’attività culturale e didattica dell’Istituto Salvemini. Ad introdurre l’incontro il vice presidente Marco Brunazzi.
A commentare la scelta del governo polacco, intesa come ricerca di legittimazione attraverso il nazionalismo per preservare il “buon nome della Polonia”, è Carla Tonini, che sostiene come la questione sia da inquadrare in termini di “ossessione dell’innocenza”, rispetto ad accuse di corresponsabilità dei crimini commessi. Un dibattito quello sulla corresponsabilità che preso il via con la pubblicazione del libro I carnefici della porta accanto di Jan Tomasz Gross. “Un dibattito furioso”, commenta, “ma al quale seguì una grande mole di ricerche sul tema”.
È poi Anna Szwarc a riportare la propria esperienza di mediatrice culturale nelle scuole italiane: al centro l’indagine della percezione che i giovani studenti hanno della Polonia rispetto alla Shoah. E ribadisce l’importanza di raccontare tutte e due le storie: quella dei polacchi delatori e quella dei polacchi Gisti tra le Nazioni. “È tutta una questione di scelte”, conclude.
La parola poi ad Anna Zafesova, che mette in luce come la Storia sia ancora “un campo di battaglia di attualità” e come su di essa vengono proiettate le ambizioni dei politici di oggi. Tanto da far sì che elementi del passato vengano strumentalizzati e modificati a seconda del contesto geopolitico di riferimento: basti pensare al caso della Russia, dove ad oggi non si può certo parlare di “antisemitismo di Stato” e come di fatto in Russia non esista l’antisionismo. Basti ricordare la quota di cittadini di origine russa residenti oggi in Israele. “Semmai quello che permane”, commenta, “è un antisemitismo a livello culturale e di matrice razziale e non religiosa, declinato in termini di stereotipi legati alla figura dell’ebreo, in quanto portatore di valori occidentali”. Qui, prosegue Zafesova, l’antisemitismo viene alimentato da un nazionalismo valoriale e ideologico, dove l’ebreo nomade, non radicato, che si adatta senza assimilarsi del tutto, rappresenta l’ossimoro per eccellenza se messo accanto al carattere intrinseco del nazionalismo. Un antisemitismo quindi che va al di là della politica, sopravvive alla politica ed è insito nel tessuto sociale. Anche Tonini per il caso polacco parla di antisemitismo come presenza costante nel substrato culturale “che all’occorrenza si fa riaffiorare e lievitare”. Una discriminazione che permane anche nel linguaggio, commenta Szwarc, dove lo stesso termine “ebreo” continua a essere percepito in senso dispregiativo.
Infine il dibattito si sposta su un’altra problematica di attualità, a partire da un tragico evento di cronaca: l’uccisione il 13 gennaio scorso del sindaco di Danzica, Pawel Adamowicz, perché promotore di una politica priva di discriminazioni alcune verso il migrante, verso il rifugiato, verso il musulmano. Ad oggi in Polonia i musulmani rappresentano lo 0,8 % della popolazione, ma la percezione e la propaganda di certo non si fondano sulle cifre reali. “Quando la soglia dell’accettabile nel dibattito pubblico si allarga, atti estremi, anche se a mano di uno squilibrato, si legittimano”, commenta in chiusura Zafesova. Ricordando come la percezione dell’Europa dell’est di “invasione islamica da contrastare”, di nuovo non si riscontra in Russia, semplicemente perché il paese conta al suo interno 20 milioni di musulmani, oltre al fatto che a livello religioso l’Islam risulta assolutamente intoccabile. Le alleanze dello stesso Putin a livello geopolitico, mettono in luce dinamiche di potere differenti: basti pensare al legame con Ramzan Achmadovič Kadyrov, Primo Ministro della Cecenia.
Alice Fubini
(24 gennaio 2019)