Divisioni e democrazia

Anna SegreNon sono tra coloro che amano e ricercano l’unità e l’unanimismo a tutti i costi, anzi, tendo istintivamente a diffidare delle situazioni in cui tutti vanno d’accordo. A maggior ragione quando ci sono chiare differenze ideologiche: mi danno terribilmente fastidio coloro che si vantano di non essere né di destra né di sinistra, come se avere opinioni fosse qualcosa di cui ci si deve vergognare. Anche nella vita dell’UCEI e delle nostre Comunità credo sia un bene che esistano idee diverse e che tutte abbiano la possibilità di esprimersi. Ma le differenze di opinione devono necessariamente concretizzarsi in una contrapposizione elettorale tra liste diverse? Anche nelle Comunità medie e piccole in cui comunque è previsto che si votino le persone e non le liste? Questo argomento è stato molto discusso nell’assemblea che si è svolta a Torino una decina di giorni fa. In tale occasione è stato affermato che la presenza di liste diverse costituisce una garanzia di maggiore democrazia. Personalmente non sono d’accordo.
La divisione in liste è certamente opportuna quando tra chi si candida nell’una o nell’altra ci sono differenze ideologiche evidenti: per esempio tra gli ebrei fascisti e antifascisti negli anni ’30 non avrebbe avuto alcun senso fingere un unanimismo che non c’era. Ma quando le differenze non sono chiare non solo per coloro che votano ma neanche per coloro che si candidano e neppure per i componenti delle commissioni elettorali che vanno a cercare candidati (e che finiscono spesso per rivolgersi tutti alle stesse persone) perché mai una distinzione fittizia in liste dovrebbe essere più democratica di un elenco unico di nomi tra cui scegliere liberamente? Onestamente non riesco a capirlo. Qualcuno potrebbe osservare che non fa poi una grande differenza, dato che comunque è possibile votare persone appartenenti a liste diverse. A me pare però che la divisione in liste porti inevitabilmente con sé una qualche forma di distinzione tra un “noi” e un “loro”, e se la distinzione non si fonda su reali differenze di opinione finisce per basarsi su simpatie e antipatie personali, catene di parentele e amicizie, pregiudizi, pettegolezzi. Nulla, insomma, che sia garanzia di maggiore democrazia, anzi, tutt’altro. Nella vita di tutti i giorni di un Consiglio comunitario, poi, i casi sono due: o le distinzioni tra le liste vengono ignorate e ciascuno vota come gli pare (e allora a cosa sono servite le liste?), oppure qualcuno si sente obbligato a mettere da parte le proprie opinioni personali per allinearsi ai propri compagni di lista, e in questo caso il livello di democrazia dell’istituzione non solo non aumenta ma addirittura diminuisce perché le voci diverse da quelle della maggioranza hanno più difficoltà ad esprimersi liberamente.
La democrazia nasce dal libero confronto tra le idee, non necessariamente dal libero scontro tra le persone.

Anna Segre