preghiere…

La vera preghiera è quella della gente semplice che grida D-o: “Avinu SheBaShamaym” (“Padre nostro che sei nei Cieli”). Quando questi ultimi pronunciano una preghiera con fervore, la gioia è grande nel mondo dell’Alto. L’ebreo deve attaccarsi alle parole ebraiche della preghiera, ma non deve disprezzare coloro che non le leggono correttamente perché le loro preghiere sono accolte in Alto più facilmente rispetto a quelle dei Sapienti. Tutte le preghiere sono formulate al plurale. Se fossero formulate al singolare, sembrerebbero presuntuose. L’uomo non si inorgoglisca quando prega con intenzione pura perché il suo pensiero e la sua parola, che esprimono la sua preghiera, riflettono il desiderio di D-o che l’uomo lo lodi gratuitamente.
Le preghiere sono dette al plurale perché l’umano deve pregare per il suo prossimo che si trova nella disgrazia. Lungi dal presentare a D-o richieste di natura materiale, si presentino i bisogni dell’anima, che è una parte della Divinità. Si preghi dunque per la Shekhinà, per la Presenza di D-o, perché ciò che manca all’uomo, manca anche alla Shekhinà, che soffre con lui. La Libertà dell’uomo è un limite per D-o. La preghiera significa infatti attaccamento: attaccamento di colui che prega a Colui che desidera udire la preghiera, e attaccamento di Colui che ascolta la preghiera a colui che desidera pronunciare la preghiera.

Paolo Sciunnach, insegnante