La verità si fa Strada?
In un’intervista al Corriere della Sera (27 gennaio 2019, p. 23) al fondatore di Emergency, Gino Strada, viene chiesto “Libia, Palestina…Perché state alla larga?”; costui risponde: “coi palestinesi ci ho provato, un ospedale a Ramallah. Andai dal ministro. Mi disse: ‘Ma voi avete cinque milioni da spendere? Sa, un posto vale 100mila dollari’. Arrivederci… Ho sempre pensato che una parte d’aiuti alla Palestina finisca altrove”.
Ora, i palestinesi, se non erro, non possono lavorare né in Libano né in Giordania. Se lavorano con aziende israeliane nella West Bank, lo fanno in modo precario per via del boicottaggio. Per lavorare in Israele debbono passare per i controlli di sicurezza, che sono necessari ma comunque diventano lunghi e mortificanti.
In Cisgordania non risulta che siano state tenute nuove elezioni né che vi siano grandi libertà. Insistono in quella terra, ancora, dei campi profughi, un vero paradosso, dato che fare il profugo a casa propria è una situazione che, quanto meno dall’Italia, non è di facile comprensione.
Israele ha i suoi interessi, frutto di libere elezioni, e anche la Diaspora ha i suoi interessi: soltanto gli ipocriti possono negare che ciascun essere umano abbia degli interessi, quasi che la vita si svolgesse in un paradiso virtuale. Gli interessi della Diaspora si riassumono in uno solo: la pace. Se i palestinesi non si esprimeranno in totale libertà e se i fondi loro destinati non seguissero la via ortodossa, ma fossero dirottati chissà dove e chissà come, la pace da difficile diventerebbe impossibile, perché chi vive un’esistenza così dura non sarà portato a trattare, avendo ben altri problemi da affrontare. C’è da riassumere la road map e c’è da resuscitare gli Accordi di Oslo. L’argomento che si riporta è molto antipatico ma, se si dovesse soltanto disquisire di eventi simpatici, tanto varrebbe non scrivere più. Come nelle dittature.
Emanuele Calò, giurista
(29 gennaio 2019)