Periscopio – Fede e Shoah
Tra le tante domande che, periodicamente, si ripropongono in occasione del Giorno della Memoria, riemerge sempre, rinnovando un antico sgomento, quella del rapporto tra fede e Shoah. Come è possibile conciliare l’inenarrabile esperienza di ciò che è stato con la fiducia in un Dio potente, giusto e misericordioso? “C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio”, ha scritto Primo Levi. Ma Elie Wiesel ha aggiunto: “Non posso concepire Auschwitz pensando che Dio esista, ma neanche pensando che non esista”. Il Dio che salva il suo popolo dall’Egitto, indicando col braccio disteso la strada della libertà e della redenzione, vede svanire la sua immagine, spazzata via come un castello di sabbia da una tempesta. Ma ciò che è accaduto pare anche inconcepibile senza l’intervento di forze arcane e sovrumane, capaci di stravolgere qualsiasi legge di natura, di disintegrare l’intero universo. E come occorre una divinità per crearlo, così occorre per distruggerlo. Come potrebbero degli uomini, solo degli uomini, avere concepito e realizzato ciò che è accaduto? Come può una semplice mente umana solo pensare, per non dire portare a compimento, qualcosa di talmente incommensurabile? L’evento limite della storia, come è stato detto, ha frantumato la fede dei credenti al pari dell’incredulità dei non credenti.
“Addio, secolo dell’Olocausto”, disse, alla fine del secolo scorso, papa Giovanni Paolo Secondo. Se il Novecento sarà ricordato, per sempre, come il secolo della Shoah, dovrà anche essere evocato, da parte di tutti, credenti e non, come il secolo del silenzio di Dio. E ciò, forse, non vale solo per il Novecento, ma per l’intera storia dell’umanità. Tutto ciò che è accaduto prima ha portato ai campi, tutto ciò che verrà dopo nasce dalle loro ceneri.
Come interpretare, oggi, questo silenzio?
C’è una pagina, di straordinario significato, di Franz Kafka, tra le più suggestive dell’intera letteratura universale – recentemente rievocata, in modo mirabile, da Daniela Bifulco, nel suo bellissimo libro Il disincanto costituzionale. Profili teorici della laicità (Ed. Franco Angeli) -, intitolata “Il silenzio delle sirene”, che pare offrirci una possibile, inquietante chiave di lettura. Kafka (a cui solo la breve vita, ricordiamo, risparmiò di essere inghiottito dalla nera voragine, che avrebbe invece annientato la sua famiglia) immagina, con la sua tragica capacità visionaria, che il canto delle sirene fosse solo un inganno, un trucco, e che le sirene, in realtà, tacessero.
Nel mare regnava solo il silenzio. “Silenzio di tomba, nel Mediterraneo”, commenta la Bifulco: gli uomini naufragavano, e morivano, nel silenzio. Ma, per spiegare quelle morti, si sarebbe creato il mito del canto delle sirene. Ulisse, però, con la sua estrema astuzia, unico tra gli uomini, capi l’inganno, capì che le sirene tacevano. Ma non volle condividere questa sua intuizione, e finse di cadere anch’egli nell’inganno, facendo otturare le orecchie ai suoi marinai, mentre lui si sarebbe fatto legare all’albero della nave, per potere ascoltare indenne il canto mortale. Ma, in realtà, non ascoltò nulla, perché nel mare non si udiva alcuna voce, la morte non aveva alcun suono. E, scrive Kafka, “non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato” dal canto delle sirene, “ma non certo dal loro silenzio”.
Cosa faremo noi? Ci ottureremo le orecchie, come i marinai, per continuare a credere nel canto delle sirene, o avremo anche noi l’ardire di Ulisse, accettando di “ascoltare” il loro silenzio?
In ogni caso, qualsiasi cosa possiamo credere, o fare finta di credere, non ascolteremo altro che quello.
Francesco Lucrezi, storico