JCiak – Skin, l’odio sulla pelle

Al supermercato un uomo sorride a un bambino di dieci anni. Sono in attesa alla cassa, in file diverse. Il bambino risponde con un sorriso e ride quando l’uomo gli mostra un giocattolo. E’ un attimo di pura innocenza che finisce però per innescare una sanguinosa guerra fra gang. L’uomo è infatti afro-americano e il padre del bambino un suprematista bianco.
È la storia al centro di Skin, il corto dell’israeliano Guy Nattiv, nominato agli Oscar come Best live action short fiction. Sviluppato successivamente in un lungometraggio dal medesimo titolo, con Jamie Belle e Vera Farmiga, Skin prende le mosse da uno spunto di cronaca per raccontare come l’odio del razzismo si tramandi di padre in figlio e intrappoli le generazioni in un ciclo di violenza infinita.
La notizia da cui è nato Skin, racconta Guy Nattiv, descriveva la vicenda paradossale di un padre neonazista che aveva insegnato al figlio a sparare e a odiare chi era diverso da lui. “Poi una sera quel padre torna ubriaco e il figlio pensa che è un afroamericano che cerca di entrare in casa. Prende l’arma da fuoco del padre e lo uccide perché da lui ha imparato a essere razzista, aggressivo e violento. Il ragazzo ha appena 12 anni”.
È uno dei tanti incidenti mortali che ogni giorno si registrano in America, società ancora profondamente razzista dove le armi sono identità, tradizione e hanno quasi libera circolazione. E, per Guy Nattiv, da quattro anni trasferitosi a Los Angeles, è l’inizio di una ricerca che con la collaborazione dell’amica e sceneggiatrice israeliana Sharon Maymon si traduce in immagini di grande potenza.
Skin ci porta nel microcosmo di una cittadina nel cuore del grande nulla statunitense, dove la vita è sospesa in attesa di un domani che non arriverà mai. Qui, dove l’American dream è destinato a rimanere un miraggio, l’odio è una lezione che s’impara da piccoli..
“È un ciclo di violenza, come se generazione dopo generazione s’insegnasse ai bambini a odiare e si finisse per diventare vittime di quell’odio”, spiega il regista che nel lungometraggio Skin approfondisce le vie d’uscita dall’orrore razzista ispirandosi alla storia di Brydon Whider, suprematista bianco pentito che impiega anni a levarsi di dosso i tatuaggi che simboleggiano quell’odio.

Daniela Gross