Renato Coèn, un quasi ministro
nella giovane Israele di Ben Gurion
L’insegnante messo alla porta con l’entrata in vigore delle Leggi razziste, il pedagogo che lasciò un segno importante nella sua disciplina, un quasi ministro di Israele nei primi anni del nuovo Stato. Ma anche un padre di cui resta molto da scoprire. Una figura che riaffiora nei ricordi personali, nel quadro di una relazione non semplice spesso caratterizzata da mancanza e irraggiungibilità, ma anche in alcune testimonianze che dall’esterno colmano dei vuoti.
“Renato Coèn. L’uomo privato, l’uomo pubblico” (Edizioni Masso delle Fate), scritto dalla figlia Luciana e presentato a Firenze nella sala Gonfalone di palazzo del Pegaso, con gli interventi tra gli altri del presidente Consiglio regionale Eugenio Giani e di Ugo Caffaz per la Comunità ebraica fiorentina, è un libro in cui al tema della Memoria si affiancano molteplici altri spunti.
Nato nel 1907, Coèn fu allievo di Ernesto Codignola e si laureò nel ’33 con una tesi su Spinoza. Fu poi direttore delle scuole primarie di Rodi e professore di Filosofia e Storia al liceo Dante di Firenze. Con la promulgazione dei provvedimenti antiebraici nel ’38, lasciò l’Italia per l’allora Palestina mandataria con la prima moglie e i due figli Giordania ed Hermon. Prima ad Haifa, quindi a Tel Aviv, lavorò in ambito scolastico ed ebbe stretti rapporti tra gli altri con David Ben Gurion. Tornato nell’Italia fresca di Liberazione, fu reintegrato al liceo Dante e nei primi Anni Cinquanta superò il concorso per assistente di ruolo presso la cattedra di Pedagogia nel Magistero di Firenze (diventerà poi professore associato). Guai fisici persistenti, la morte della prima moglie, due figli adolescenti cui badare: furono questi, scrive Luciana, che è nata dall’unione con la seconda moglie, tra i motivi a frenarlo nella sua volontà di accettare l’incarico di ministro offertogli, a quanto pare, da Ben Gurion in persona.
“Tre – ha scritto Antonio Corsi, che fu suo allievo e collaboratore – risultano i principali punti di riferimento della riflessione pedagogica di Coèn: il rilievo riconosciuto sia ai bisogni di ciascun allievo sia all’ambiente, come ineludibile riferimento dell’azione didattica; l’insegnamento come ricerca intellettuale partecipata con gli scolari, aliena da ogni spirito dogmatico, ispirata a quell’idea di dialogo che condivise, oltre che con Codignola, anche con Martin Buber, di cui fu compagno nell’esilio palestinese, e con Guido Calogero; l’idea e la pratica della laicità concepita come coessenziale ad un’azione educativa autenticamente formativa di spiriti critici”.
Insegnamenti e impegni che ha condotto con la massima determinazione, a costo di dure scelte. “Da quel pochissimo che ho sfogliato e letto di una limitatissima parte dei suoi scritti – conferma Luciana, in questa importante testimonianza – ho conferma di quanto raccontava mia madre e chi lo ha conosciuto e vissuto più di me, cioè di un uomo retto, coerente con il suo pensiero, sincero, che esprime le sue idee anche a costo di andare contro corrente o di perdere o rinunciare a occasioni professionali o sociali, come è effettivamente accaduto in alcune circostanze”.
(1 febbraio 2019)