Ute Lemper, la Memoria si fa canto

È la musica come forma di resistenza a chiudere il ciclo di eventi torinesi legati al Giorno della Memoria. Questa la scelta del Consiglio Regionale del Piemonte e del Polo del ‘900, i due principali enti organizzatori dell’evento Songs of Eternity, il concerto che ha visto protagonista la cantante tedesca Ute Lemper, interprete delle musiche e delle canzoni composte nei ghetti e nei campi ci concentramento.
L’evento, ospitato nelle sale del Conservatorio Giuseppe Verdi, è stato realizzato con il sostegno della Compagnia di San Paolo e della Fondazione CRT, in collaborazione con il Goethe-Institut Turin e con il patrocinio della Città di Torino e della Comunità ebraica di Torino.
“È un impegno che ho assunto già nel 1987 quando sono stata protagonista di un grande progetto della Decca dal titolo Entartete Musik (Musica degenerata) che presentava i compositori ebrei e la loro musica bandita dai nazisti – commenta Ute Lemper – con Songs of Eternity continuo questa missione”. Con la sua voce accompagnata da un violino, un pianoforte, un contrabbasso e un clarinetto, ha interpretato la musica della Shoah: classica, canti, canzonette composti nei ghetti, nei campi di concentramento e sterminio. Molti dei testi e spartiti musicali sono stati raccolti nel 1948 da Vevel Pasternak, e ancora nel canzoniere di IIse Weber, pubblicato in Israele negli anni Novanta dal marito sopravvissuto ad Auschwitz.
Testi e spartiti diventano i testimoni che permettendo di ricattare attraverso la musica, la memoria di chi li ha composti. Determinati e coscienti dell’importanza della loro testimonianza per le generazioni future, i compositori si preoccuparono di nascondere le proprie opere. Ci si affidò anche alla memoria dei superstiti che consentì nel dopoguerra di ricostruire alcuni brani andati persi.
Il viaggio musicale, così definito dall’artista ed interprete, prende il via dal Ghetto di Vilna, dove centinaia di ebrei furono trasferiti al villaggio di Ponar e poi giustiziati. “Era un giorno d’estate” è la canzone scritta da una giovane donna che ripercorre quel tragico giorno:”[…] le case furono svuotate e si riempirono le fosse […] A Ponary ora si vedono sulle strade cose, cappelli inzuppati dalla pioggia. Sono gli oggetti delle vittimie, delle anime sacre che la terra ha ricoperto per sempre”. Ci si sposta ad Auschwitz dove il cantate tedesco Julius Rosenbaum venne deportato. Nel campo, prima di morire, diede vita assieme ad altri musicisti e cantanti a quello che chiamò ironicamente “Il miglior cabaret in Olanda!”, conosciuto come “Nella brughiera”. La musica trascina gli spettatori a Theresienstadt, tra le poesie e le storie di Ilse Weber, una giovane infermiera che durante la notte traduceva l’orrore a cui assisteva di giorno scrivendo componimenti. Morì nelle camere a gas nel 1944. Le sue canzoni non furono mai scritte, ma i sopravvissuti furono in grado di ricordarle e di riportarle in vita: “Io vado errando per Theresienstadt, col cuore pesante come il piombo […] Io vado errando rassegnata e triste, oh quanto tutto questo mi pesa: Theresienstadt, Theresienstadt quando il nostro soffrire terminerà, quando riavremo la liberta?”. A Theresienstadt, tra i molti artisti e musicisti, transitò, prima di essere deportato e ucciso ad Auschwitz, Victor Ulmann, grande compositore, brillante pianista e direttore di Opere, nonché allievo di Schoenberg. Il viaggio si chiude facendo ritorno al ghetto di Vilna, tra le parole del poeta Shmerke Kaczerginski, che dedicògran parte della propria vita alla raccolta di canzoni yiddish: “Zitti, zitti, stiamo zitti: qui crescono i morti. Li hanno piantati i nemici, stanno germogliando. Le strade portano a Ponar e nessuna porta indietro […] Bambino non gioire: il tuo sorriso ci è proibito, il nemico vedrà la primavera come una foglia in autunno […]”.

Alice Fubini