…derive

È notizia di questi giorni la comparsa a Mea Shearim di cartelli che indicano marciapiedi per donne e marciapiedi per uomini per evitare il rischio di incontri «promiscui». Questione che solleva problemi non irrilevanti se vista dall’Europa. Israele come l’Arabia Saudita? Del resto, a sentire il modo in cui è stata riportata la notizia dai media italiani sembrerebbe proprio di sì. Parole che ricalcavano pari pari quanto sentito in questi anni sulle varie forme di integralismo islamico, dai talebani, all’Isis, passando per il wahabismo. La questione, però, non è così semplice a mio parere. Noi siamo abituati ad un’immagine molto occidentalizzata di Israele, che, però, ha il problema esclusivamente suo di far convivere sulla stessa terra tutte le forme di ebraismo. Un problema che avvicina la società israeliana molto di più a quelle medio orientali, da sempre contraddistinte da una composizione etnico-religiosa assai più variegata di quella consentita dal modello assimilazionistico europeo. Naturalmente ogni modello ha pro e contro, ma se lo Stato ebraico comincia con l’escludere alcuni tipi di ebrei un problema effettivamente si pone. A mio parere, il nodo della questione non è tanto nel fatto se accettare simili posizioni, che certamente sono integraliste (nel senso letterale del termine), ma nella condivisione da parte di tutte le componenti sociali di consentire ad altri forme di convivenza diverse. In sostanza, gli abitanti di Mea shearim possono anche scegliere questa interpretazione estrema dell’ebraismo, ma non possono arrogarsi il diritto di imporla ad altri per legge. È proprio questo che distingue Israele dall’Arabia Saudita. E basta fare un giro, non dico a Tel Aviv, ma anche in altri quartieri di Gerusalemme per rendersene conto. Non sarebbe male se l’informazione italiana lo ricordasse, invece di urlare sempre alle derive estremiste. Che poi sono solo quelle degli altri, queste derive.

Davide Assael, ricercatore