Periscopio – Utopie negli Emirati
Parlare di pace, fratellanza, dialogo, ripudio di ogni forma di violenza e coercizione è, certamente, una cosa lodevole, e deve quindi essere salutata con favore la recente visita pastorale di papa Francesco negli Emirati Arabi, così come l’incontro interreligioso che ad essa si è accompagnato. Certo, anche in considerazione del luogo dove si è svolta la manifestazione, si potrebbe segnalare qualche omissione e reticenza nei discorsi che sono stati pronunciati, a proposito di diritti umani, libertà di pensiero, condizione della donna, antisemitismo ecc. Ma il messaggio complessivo è apparso comunque apprezzabile e positivo.
Pur accogliendo, ripeto, favorevolmente l’incontro e molte delle parole che, da diversi relatori, sono state formulate, ci permettiamo però di fare due piccole osservazioni.
Tanto dal Papa quanto da alcuni degli autorevoli Imam intervenuti abbiamo sentito dire, più volte, che la religione, tutte le religioni, sono sempre naturalmente promotrici di pace e amore universale, e che tutti coloro che commettono o hanno commesso violenze e sopraffazioni in loro nome sono dei profanatori e nemici delle religioni stesse. Su questo punto, c’è stata un’identità di vedute assoluta, e l’incontro è parso sostanzialmente un elogio incondizionato della funzione salvifica e irenica delle religioni, tutte accomunate dal loro essere, per definizione, virtuose, pacifiche e benefiche. Non si è detto, si badi bene, che le religioni devono essere tali, portatrici di pace e armonia, ma che già lo sono di per sé, lo sono sempre state, perché ciò sarebbe intrinseco alla loro stessa natura.
Domanda: ma è proprio vero? Si può forse dire che chiunque abbia mai usato la violenza in nome della religione lo avrebbe sempre fatto contro la religione stessa? È forse questo che insegna la storia delle cd. “grandi religioni monoteiste”? Il potere temporale del cristianesimo non è forse iniziato con la battaglia di Ponte Milvio, per poi crescere e perpetuarsi, per secoli e secoli, attraverso mille altre guerre e violenze? E la rapidissima espansione dell’Islam avvenne forse in modo pacifico, senza nessuna coercizione? Perché non riconoscere quella che è una verità di palmare evidenza, e cioè che la violenza è intrinseca alla stessa idea di proselitismo, ossia della ‘conquista’ delle anime, o degli interi popoli? Se la sentono, il cristianesimo e l’Islam, di dire che questa idea è stata finalmente, e per sempre, abbandonata?
Ancora: si può forse dire che nei fondamenti scritturali delle religioni non ci sia proprio nessun accenno alla forza, alla violenza, alla vendetta? Sarebbe fin troppo facile fare qualche citazione, anche a casaccio, da tante pagine di testi sacri, per dimostrare l’esatto contrario.
Attenzione, nel dire ciò non intendiamo assolutamente affermare che, essendo le religioni state, in passato, violente e intolleranti, restano quindi condannate, per sempre, a seguire tale vocazione. Tutt’altro. Dire che le fedi debbano superare un passato di violenza e sopraffazione, per costruire nuovi percorsi di dialogo e coesistenza pacifica, sarebbe una cosa nobile e meritoria, che farebbe ben sperare per il futuro. Ma dire, invece, che continueranno semplicemente a fare bene all’umanità, come hanno sempre fatto (a parte le interpretazioni “devianti”), è un’affermazione che suona quanto meno ambigua, in quanto basata su una premessa decisamente falsa.
La seconda osservazione riguarda l’accorato appello che è stato insistentemente rivolto, sia da parte cattolica che islamica, a favore della libertà di religione, elemento essenziale della più generale libertà di coscienza. Un appello sacrosanto, che non si può non sottoscrivere in pieno. La libertà di fede non dovrebbe mai essere limitata o conculcata. Sacrosanto, ma incompleto, in quanto omissivo riguardo a un’altra libertà altrettanto essenziale, che è la libertà non di religione, ma dalla religione. Tantissimi uomini hanno pagato pesantemente, per lunghi secoli, e pagano ancora oggi, la semplice scelta di sottrarsi ai dettami di un determinato credo, per seguire strade proprie e diverse. Non è anche questa una scelta rispettabile? Se la fede merita – come deve meritare – il massimo rispetto, non si deve altrettanto rispetto anche alla non credenza? L’auspicata fratellanza universale tra tutti gli uomini è forse riservata ai soli credenti? Tutti gli altri ne saranno per sempre esclusi? Ma non è stato lo stesso papa Francesco, recentemente, a dire che è meglio essere atei che cristiani peccatori (parole che, in passato, avrebbero facilmente condotto al patibolo)?
L’idea di un’umanità finalmente affratellata è una bella utopia, a cui, nonostante tutto, non si deve rinunciare, e ringraziamo il Pontefice e gli Imam per avercelo ricordato. Ma quella di un’umanità affratellata in nome della religione, e solo di essa, è un’idea che appare, oltre che faziosa, alquanto sterile (dal momento che le religioni, in tutto il mondo, vedono inesorabilmente diminuire la loro pressa sulle masse) o (in quanto evocatrice di ricordi inquietanti) pericolosa.
Francesco Lucrezi, storico