In ascolto – Halev sheli
È uscito da poco “Halev sheli”, il singolo del giovane cantante israeliano Yishai Ribo, quale anteprima del suo nuovo album “Selichot”.
Yishai nasce nel 1989 a Marsiglia e a otto anni si trasferisce in Israele con i genitori, persone di fede e legate alla tradizione. All’inizio la famiglia sceglie Kfar Adumim, ma a seguito di traversie si traferisce a Tel Zion. Yishai studia in diverse yeshivot e sviluppa una profonda conoscenza dei testi sacri. Inizia a comporre canzoni a soli 13 anni ma, proprio come molti altri musicisti israeliani più o meno noti, è nell’esercito che trova il suo spazio di espressione ed è proprio durante il servizio militare che incide il primo album.
Il 2012 è il suo anno d’oro. Scrive “As in the Beginning” per Gad Elbaz, riceve il Premio ACUM per la creatività ed entra nel mitico Idan Raichel Project.
Da questo momento in poi scrive, incide, compone musica per sé e per altri nomi importanti del panorama musicale israeliano.
I suoi brani hanno il sound che caratterizza buona parte del pop israeliano, in cui non possono mancare la chitarra ritmica, i cori e gli accenni a volte solo sfumati alle sonorità del medioriente. Ho avuto modo di constatare come spesso il pubblico italiano tenda a prendere le distanze da questo genere di produzione, forse perché a volte in effetti la qualità non è delle migliori, o forse perché, a torto, dall’ebraico ci si aspetterebbe qualcosa di “più etnico”.
Quest’ultimo singolo, “Halev sheli”, mi piace perché parla di una storia comune e assolutamente umana: Yishai è di fronte al mare e canta lo strappo del proprio cuore. E dice: “Solo tu sai come avvicinarti al mio cuore e lenire il dolore che è in me”. E la semplicità del testo, la sua banale quotidianità, è intrisa di riferimenti biblici e di termini che proiettano l’ascoltatore in un’epoca lontana, fatta di tempeste, di mari, di tamburelli di Miriam, di cieli e di fratture e la narrazione antica diventa il contenitore della vita di Yishai.
Le parole giocano tra il passato e il presente e anche la composizione musicale ci racconta un legame forte con chi lo ha preceduto, perché qua e là si coglie la vocalità di Shlomo Artzi e il brano è avvolto da quella dolce nostalgia e dalla morbidezza che decenni fa portavano la firma e la voce di Yeudit Ravitz e della sua chitarra.
Consiglio d’ascolto:
Maria Teresa Milano
(7 febbraio 2019)